Un clima di guerra. Approvata dal Senato, è in discussione alla Camera la legge che modifica le norme e le informazioni sulle esportazioni di sistemi d’arma
Il bellicismo che da diversi anni si sta facendo spazio in Europa e che da due anni in qua sta letteralmente dilagando, sta per svuotare le norme italiane sul controllo dell’esportazione, importazione e transito delle armi.
Lo scorso 21 febbraio il Senato ha approvato in prima lettura tre modifiche alla legge 185/90, una legge nata negli anni ’80, nell’era della corsa agli armamenti, grazie l’impegno dal basso del mondo missionario, cattolico, dello associazionismo, dei sindacati per rendere trasparente il mercato delle armi di cui l’Italia è sempre stata protagonista.
I principi ispiratori della normativa italiana negli anni successivi furono ripresi sia dalla Posizione Comune UE sull’export di armi, sia dal Trattato ATT (Arms Trade Treaty), ma per il governo italiano, che si è fatto promotore della riforma, la priorità è quella di apportare alcuni aggiornamenti alla legge per “rendere la normativa nazionale più rispondente alle sfide derivanti dall’evoluzione del contesto internazionale”.
In realtà il testo, attualmente in discussione in Commissione Difesa alla Camera, limita l’applicazione dei divieti sulle esportazioni di armamenti, riduce al minimo l’informazione al Parlamento e alla società civile ed elimina dalla Relazione governativa annuale tutta la documentazione riguardo alle operazioni svolte dagli istituti di credito nell’import-export di armi e sistemi militari italiani.
Nel 2023 esportazioni di armi per 6,3 miliardi
Mentre la riforma della legge 185 affrontava la “navetta” parlamentare, a fine marzo è stata trasmessa al Parlamento la Relazione annuale sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo delle esportazioni, importazioni e transito dei materiali di armamento, un documento richiesto proprio dalla legge 185, ma che dal prossimo anno potrebbe divenire molto meno ricco di informazioni.
Nel 2023 l’Italia ha esportato armi per 6,31 miliardi di euro e importato per 1,25 miliardi. Rispetto all’anno precedente l’export è aumentato di 1,03 miliardi di euro. I Paesi destinatari nel 2023 sono stati 82, un dato in linea con quello degli anni precedenti.
Anche per quanto riguarda i Paesi destinatari, per il 2023 viene confermata la stessa dinamica degli anni più recenti. Sono 14 gli Stati destinatari che hanno registrato oltre 100 milioni di euro nel totale delle licenze: al primo posto la Francia (465 milioni) seguita da Ucraina (417 milioni), Stati Uniti (390 milioni) e Arabia Saudita (363 milioni). Tutti gli altri Paesi hanno totali minori di 300 milioni e tra i primi destano preoccupazione (per la tipologia di governo o per il coinvolgimento in conflitti armati e violazioni di diritti umani) Stati come la Turchia (231 milioni di autorizzazioni), l’Azerbaijan (156 milioni) e il Kuwait (125 milioni).
Nella lista spiccano ovviamente le licenze rilasciate verso l’Ucraina a seguito della invasione russa del febbraio 2022, in deroga della legge 185, come sancito dal Parlamento italiano più volte negli ultimi due anni. La Relazione sull’export di armi curata dall’Autorità nazionale UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) ha affrontato anche il caso di Israele, sottolineando come nel 2023 il valore delle esportazioni autorizzate (9,9 milioni) è rimasto e che l’azione israeliana su Gaza ha determinato la sospensione di nuove autorizzazioni all’esportazione di armamenti verso Tel Aviv.
Una notizia contestata dalla Rete Pace Disarmo, secondo la quale gli invii conseguenti a precedenti autorizzazioni continuano, diversamente da quanto dichiarato dal Governo.
Per quanto riguarda le banche coinvolte nell’export militare italiano la Relazione conferma il ruolo protagonista di Unicredit e Intesa Sanpaolo. Unicredit ha compiuto operazioni per esportazioni di sistemi militari per 1,3 miliardi di euro circa (il 30,9% del totale) e Intesa Sanpaolo per 729 milioni. Tra le prime cinque banche a supporto dell’export di armi anche Deutsche Bank, Popolare di Sondrio e Banca Nazionale del Lavoro.
La legge 185 prevede il divieto di invio di armi verso Paesi in conflitto e in cui ci siano gravi violazioni dei diritti umani, ma solo in un caso è stato bloccato l’invio di bombe e missili, dal 2019 al 2023, cioè quando Arabia Saudita e gli Emirati Arabi utilizzavano armi italiane per bombardamenti anche su civili in Yemen (l’attuale Governo ha deciso di riprendere le vendite nonostante il conflitto yemenita non sia per nulla risolto).
In molti altri casi gli armamenti italiani sono stati e sono tuttora inviati in decine di situazioni di conflitto, di violazione diritti umani, di presenza di regimi autoritari come invece sarebbe espressamente vietato dalle norme in vigore.
Nonostante ciò la legge 185 ha introdotto maggiore trasparenza, permettendo al Parlamento e alla società civile di conoscere i dettagli di un mercato altrimenti altamente molto opaco.
Se la riforma approvata dal Senato passerà anche alla Camera, i cittadini non sapranno più dalla Relazione quante e quali armi vengono esportate e non avranno più informazioni sulle banche, nazionali ed estere, che traggono profitti dal commercio di armamenti in particolare verso regimi autoritari e Paesi coinvolti in conflitti armati.
Gli appelli ai parlamentari provenienti dalla società civile e dall’associazionismo cattolico – un’istanza “contro i mercanti di morte” è stato sottoscritto congiuntamente dai presidenti di Azione Cattolica, Acli, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Movimento dei Focolari Italia, Pax Christi e Agesci – non hanno sortito effetti: il Senato ha approvato la riforma con il voto favorevole della maggioranza e di Italia Viva e quello contrario di Pd, Alleanza Verdi-Sinistra e M5S.
(Davide Tondani).