Raccolti da Luciano Bertocchi nell’opuscolo “Al mister dla turta d’erbi e autri penseri”
Lo specchio dell’evoluzione dell’essere umano e della sua storia è sicuramente il cibo che, per questa ragione, non può non intrecciarsi con la letteratura. Evolvendo la società grazie anche alla tecnologia, il cibo assume sempre più un aspetto fondamentale della vita e della cultura di ogni popolo.
Ecco che allora se si analizza la letteratura da questo punto di vista si capisce quanto il cibo abbia un valore simbolico che molto spesso si intreccia con le tradizioni di un territorio. Un concetto che trova pieno riscontro nella raccolta di poesie “Al mister dla turta d’erbi e autri penseri” (edizioni MNG) che riunisce alcuni dei versi redatti da Alberto Bellotti, storico personaggio pontremolese, noto per la sua passione per la tradizione enogastronomica locale, recentemente scomparso.
Un percorso particolare quello del Bellotti, che prima di realizzarsi come autore divenne, come racconta Luciano Bertocchi nella sua introduzione al volume, “la memoria storica della poesia pontremolese. Piano, piano, forse anche senza rendersene conto, aveva imparato, a memoria, decine e decine di poesie della grande tradizione letteraria pontremolese e, in ogni occasione in cui fosse opportuno proporle, le offriva con una naturalezza disarmante”.
Fino a che è diventato evidente, allo stesso Bellotti, che non poteva essere solo il narratore di cose altrui ma c’era la volontà di scoprirsi dentro, la voglia di dire quello che sentiva nel suo intimo. “Non fu un passaggio semplice – racconta ancora Bertocchi – ma ad ogni esperienza si accorse di riuscire a crescere e lentamente il mistero del verso, della musicalità, del ritmo trovarono il giusto spazio per esprimersi come avrebbe voluto”
Per questo racconto interiore, la scelta sull’espressione da utilizzare non poteva che andare sul dialetto, il linguaggio, della tradizione, della cultura e della storia che, quando si esprime in poesia, fa emergere il pulsare della vita vissuta. Il dialetto è un elemento essenziale nella definizione e nello sviluppo dell’identità culturale di una comunità che non va intesa come contemplazione nostalgica che ingessa il passato, ma che si arricchisce nel divenire.
Bellotti lo testimonia nella sua “Al mister dla turta d’erbi” che è si un’elegia di quello che è (con il testarolo) il più celebre alimento della tradizione culinaria lunigianese, ma è anche un modo per dare onore ad una generazione di donne che ha saputo mettere in tavola, con quello che offriva la natura, qualcosa per sfamare la famiglia “merit sul dal nostar don ke par vedarghe kuntenti / kun un p’ du fantasia l’anventevun di alimenti”; merito solo delle nostre donne che per vederci contenti con un po’ di fantasia inventavano gli alimenti).
Un piccolo quadretto gioioso è quello dedicato al dolce “I amor” (se t’gh’è n’amor a par d’esr a Nadal!; se hai un amor sembra d’essere a Natale!) con una simpatica presa in giro di chi viene da fuori e non li sa mangiare e come conseguenza si sporcano calzoni e camicia (i sbrudaiun kausun e kamisa).
“Tempe d’funsi e nun sul” (tempo di funghi e non solo) sono versi che raccontano in maniera poetica il bosco e i suoi prodotti, come del resto “I Kastagni” con anche un accenno fortemente polemico su come la natura sia stata abbandonata dall’uomo (s’i pudesan parler i piansresun, parkè d’lur a gu n’sema skurdà; se potessero parlare (i castagni) piangerebbero perchè di loro ce ne siamo scordati).
Ed infine un racconto in versi sui difficili momenti causati dal Covid (certo al bumbe l’eran bru – ma a s’gu pudev lugar sta bestiasa l’è ben pes u n’u pe gnanka abrasar; le bombe erano brutte ma ci si poteva nascondere, questa bestiaccia è molto peggio non ti puoi neanche abbracciare). Una produzione poetica che entra, con profonda sensibilità, nei meandri e nei segreti delle esperienze, piccole e grandi, della tradizione.
(Riccardo Sordi)