A Colorno senza ritorno: frammenti di vita strappati dalle carte dell’Ospedale psichiatrico

Una ricerca in un libro

A Borgotaro nel 2010 studenti del Liceo “Zappa-Fermi” fecero ricerche su documenti d’archivio del manicomio di Colorno, sotto l’attenzione dello psichiatra Angelo Grossi, che ha scritto anche la postfazione del libro che riassume e valuta la realtà di Colorno senza ritorno curato da Angelo Angella e Paolo Piscina.
”Cancellati dalla società” gli abitanti della “città dei matti”, nelle cartelle d’archivio però si rintracciano “brandelli di vita vissuta”, raccolti nel libro ed esposti nella mostra Io come voi dedicata a Alda Merini poetessa grande con soggiorni in manicomio.
L’analisi è sugli internati di Borgotaro dal 1873 al 1922, 25 le schede considerate che danno un quadro d’insieme abbastanza significativo. Il manicomio fu allestito durante un’epidemia di colera per trasferire a Colorno gli alienati mentali che esasperavano le paure dei cittadini “normali”.
I primi ricoverati arrivarono a 360; poco era lo spazio personale di vita, distinti in tranquilli che dormivano in camerata e agitati chiusi in stanzini senza arredi, sorvegliati da uno spioncino.
I medici si interessavano più della malattia che del malato. Le scarne notizie raccolte indicano che la malattia si intrecciava con la miseria, con l’alcolismo delle classi popolari. Pochissimi guarivano, i ricoveri a volte si ripetevano per recidiva del disagio mentale.
I fattori che indussero i borgotaresi all’internamento delle donne vengono indicati come patemi e scrupoli religiosi che portavano a incubi e terrori associati a scarsa istruzione. Per tutti la condizione generale è malinconia, demenza precoce, degrado dell’aspetto fisico, delirio, fissazione patologica, non escluso il ruolo determinante dell’ereditarietà sull’agire umano, caro ai positivisti.
La Grande guerra aumentò di molto i ricoveri per traumi da trincea, ancor più dopo la disfatta di Caporetto. Tra le terapie drastiche c’erano i “bagni freddi per avvolgimento nel lenzuolo”; l’alimentazione era insufficiente e poco variata.
L’individualità del paziente era completamente ignorata. Fu necessaria una rivoluzione, con gratitudine per Franco Basaglia. (m.l.s.)