Alcune riflessioni dopo l’incontro con Papa Francesco del Comitato per il centenario di don Milani, “prete inquieto e inquietante”. Operare per la giustizia è fare politica
Nell’incontro che qualche giorno fa Papa Francesco ha voluto riservare ai componenti del Comitato per il centenario di don Milani, il Santo Padre ha usato questa espressione: “Siamo qui a dire la nostra gratitudine a Don Lorenzo Milani, prete inquieto e inquietante”. Provo a domandarmi cosa volesse intendere il Papa con queste espressioni, e provo a dare delle risposte.
Penso a don Milani “inquieto” perché mai completamente soddisfatto, perché consapevole che in ogni circostanza si può fare di più e meglio, perché cosciente della propria limitatezza: ma non (soltanto) per il proprio perfezionamento spirituale, ma nel senso che c’è sempre qualcuno che non è garantito nei propri diritti, che la giustizia sulla terra è un obiettivo cui aspirare, ma mai completamente raggiungibile. Un inquieto per la giustizia, mi verrebbe da dire.
E lo penso “inquietante” perché ha voluto, con la sua testimonianza e la sua vita, muovere le coscienze e far emergere le energie migliori (si può essere inquietanti anche in senso opposto, ovvero facendo emergere la parte peggiore delle persone).
Perché non ha inseguito il consenso e la lode, né ha ceduto di un millimetro sui propri obiettivi per questo: ma ha cercato il consenso necessario affinché la propria opera ottenesse lo scopo di realizzare la giustizia.
Ma Papa Francesco ha anche usato un’altra espressione che vorrei richiamare: con la sua gente e i suoi allievi don Milani ha sperimentato la beatitudine “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia”.
Mi piace ricordare a tale riguardo che “operare per la giustizia” è fare politica: la più alta forma di carità, secondo la celebre espressione (che p. Francesco Occhetta ci ricorda essere stata pronunciata per la prima volta da Pio XI nel 1927, e confermata dai vari Pontefici successivi).
E don Lorenzo, con la sua vita, ha fatto politica e ha insegnato la politica: ai suoi ragazzi in primo luogo, e per mezzo di loro a molti. Ma vorrei anche sottolineare che “avere fame e sete di giustizia” è più forte che “operare per la giustizia”: significa che non se ne può fare a meno, come non si può fare a meno dell’acqua e del cibo.
E questo don Lorenzo ha vissuto e ci ha insegnato. Se tutto questo vale per don Milani, credo che si possa dire che vale anche per la politica: oggi come ieri e domani.Anche la politica deve (dovrebbe) essere inquieta, perché sempre animata dal “morso del più” (come dice don Luigi Ciotti), e cosciente che la strada per la giustizia, anche in questo mondo, è lunga e mai completamente percorsa.
Perché non dovrebbe limitarsi a guardare ai risultati raggiunti, ma avere lo sguardo costantemente rivolto a chi ha fame e sete di giustizia. E deve essere inquietante perché il suo scopo non dovrebbe essere di operare per ottenere il consenso, ma dovrebbe cercare il consenso per operare per la giustizia.
Ricordando anche che, nel Vangelo di Luca, le beatitudini sono completate con la minaccia “Guai a voi”. E allora vorrei dire: guai a quella politica che compie opere di ingiustizia, che pone in essere provvedimenti contrari all’obiettivo di fare uguali (o meno disuguali) le persone, che non mette al centro della propria azione i poveri, gli indifesi, i senza patria: in generale, potremmo dire, guai a chi calpesta i valori della nostra Costituzione.
Quella Costituzione che, per don Milani, è “la legge che un popolo ha pagato così cara: sangue, fame, guerra civile, elezioni tanto sofferte da ogni parte” e che “il Cristo attendeva da noi da secoli, perché è l’unica che ridia al povero un volto quasi d’uomo”.
Operare per la giustizia, oggi, significa prendere sul serio la nostra Costituzione: e guai a quella politica che non pone la Carta costituzionale a fondamento della propria azione, e peggio ancora a chi pensa di trattarla come merce di scambio.