San Terenzo Monti: un angolo di Lunigiana ricco di storia

Nella valle del Bardine, in una delle aree abitate già dai Liguri Apuani. Con una chiesa che conserva testimonianze risalenti anche ad oltre mille anni fa

San Terenzo Monti nella valle del Bardine: sullo sfondo le Alpi Apuane

Si arriva a San Terenzo Monti, attraversando un territorio che, già nei toponimi dei luoghi, rimanda a tempi antichissimi: subito sotto il paese, la località Vasco, vicino il paese di Gorasco, poi Bardine; ci stiamo muovendo in ambienti che furono dei Liguri in antico, poi dei Romani e dei Longobardi; per i Liguri, in particolare di quella tribù detta dei Liguri Apuani, fieramente opposta a Roma, e finita nelle cave di rame del Sannio, deportata in massa e scomparsa anche dalla Tavola Peutingeriana, che invece conserva il nome dell’altra tribù Ligure, quella dei Sengauni, evidentemente più miti e accondiscendenti con i nuovi dominatori.
Ma giunti al paese, ancora ben conservato, si nota subito, dall’importanza delle architetture, della grandiosità della chiesa, un bell’edificio, risistemato in stile Barocco da una mano che forse aveva visto, o lavorato, a San Remigio di Fosdinovo, si rimane ammaliati; le grandi bozze in arenaria della chiesa denunciano subito una antichità ed una dimensione che, forse, non ci si sarebbe aspettati.

L’interno della chiesa parrocchiale di San Terenzo Monti

Visitando la chiesa, si ha un immediato senso di grande antichità e ricchezza non comuni, spesso, neppure per molte pievi. San Terenzo fu infatti cappella della Pieve di San Martino a Viano, anche se, evidentemente, dovette avere presto un fonte battesimale, e quello oggi presente in chiesa, in forma ottagona ed in marmo, si potrebbe facilmente ricondurre a periodo anteriore al Mille.
In effetti all’Archivio arcivescovile di Lucca, è conservata una carta, datata giugno 729, nella quale, un certo Trasualdo, “uir deuotus tiui hecclesie”, (un uomo devoto alla sua chiesa), e devoto al Santo Terenzio, edificò la chiesa, dotandola di possedimenti e denaro, al fine di assicurarne una lunga e prospera vita.
Nell’859, la stessa chiesa, viene donata, in parte, alla cattedrale di Lucca ed il 18 luglio 981, l’Imperatore Ottone II la confermò al Vescovo di Luni Gottifredo I.

La raffigurazione del drago in uno degli elementi in pietra ancora conservati nella chiesa

Difficile raccontarne, in questo breve spazio, la ricchezza; colpisce la presenza di elementi in pietra risalente al X-XI secolo, che adornavano l’esterno dell’edificio: essendo con ogni probabilità, da sempre, un edificio a unica navata, non disponeva dei capitelli, notoriamente utilizzati, per trasmettere la Biblia pauperum, la Bibbia dei poveri, indottrinati attraverso immagini eloquenti, oggi a noi note grazie alle pievi di Codiponte, Vendaso e molti altri casi. Troviamo così il femminino malefico, rappresentato attraverso la sirena bicaudata, che, qui a San Terenzo, ha trovato bella rappresentazione, in un archetto cieco, che doveva essere posto nella zona absidale ed oggi conservato e ben sistemato al suo interno, in un piccolo antiquarium.
Oltre alla sirena, un altro archetto, contiene una elaborata rappresentazione dell’urobòro, ossia del drago che, mordendo la propria coda, costruisce un cerchio o, come nel nostro caso, una forma “a 8” orizzontale, simbolo che rappresenta l’energia universale che si consuma e si rinnova di continuo, la natura ciclica delle cose, senza inizio e senza fine.
Molti altri pezzi sono oggi ben conservati ed esposti al godimento, come un piccolo frammento marmoreo del pluteo, con motivo ad intreccio, che doveva essere presente in chiesa e risalente a periodo VIII-X secolo, ed una serie di capitelli addossati in forma di testa taurina.

La facciata della chiesa parrocchiale

Tale ricchezza è certamente riconducibile alla presenza delle importanti reliquie del corpo di San Terenzo e della suggestiva leggenda della traslazione dall’Avenza qui delle reliquie; queste furono affidate ad una coppia di buoi, che, stanchi di proseguire, indicarono col loro fermarsi, il luogo ove il Santo avrebbe dovuto essere sepolto di nuovo, e questa volta in forma definitiva.
Meravigliose le quattro tele che raccontano la traslazione; nella dovizia di particolari si deve nascondere la precisa descrizione anche dei luoghi (si vedono almeno tre castelli) dei momenti, con l’alba al momento della partenza dall’Avenza ed un rosso tramonto all’arrivo. Una tale storia, o leggenda, l’importanza delle reliquie, certamente devono aver dato impulso alla costruzione di un edificio adeguato al fine di conservare le spoglie del Santo.

Stefano Calabretta