Il convento delle Clarisse a Sarzana

Come si ricava da una mappa del 1750, era costituito da un corpo di fabbrica lungo circa 70 metri per 54 di profondità, con un grande cortile interno racchiuso da tre ali di edifici.
Nel 1753 vi fu trasferita Suor Rosa Celeste Vinzoni, figlia del celebre architetto.
Nella chiesa era la “Vestizione di Santa Chiara”, dipinto di Domenico Fiasella ora al Museo Diocesano

Palazzo Sartori a Sarzana, già convento delle Clarisse

Per riprendere il filo della narrazione dedicata alla figura di Suor Rosa Celeste Vinzoni (Il Corriere Apuano del 27 gennaio 2024) mi soffermo questa volta sul Convento delle Clarisse di Sarzana dove essa fu trasferita nel 1753. Secondo quanto riporta la pianta di Sarzana di Panfilio Vinzoni, suo fratello, datata 1750, il convento era situato tra vico Bonicella e piazza Garibaldi, dove si trovava l’orto monastico.
Si trattava di un complesso piuttosto esteso, circa 70 metri di lunghezza per 54 di profondità, dalla via Grande, attuale via Mazzini, a via Landinelli che fiancheggiava allora i fossati, da cui il toponimo riportato nei documenti.
Il cortile interno era unico, racchiuso da tre ali di edifici che, a ponente, verso i fossati, lasciavano spazio ad un muro di cinta. Lo occupava un ampio giardino ingentilito da un
portico situato sui lati di mezzogiorno e di levante dove però si interrompeva per lasciare spazio ad un altro angolo di giardino corrispondente alla parte, oggi lastricata, di palazzo Massa Neri, dove si trova il grande pozzo. Dalla parte di mezzogiorno, verso l’orto monastico, il corpo di fabbrica del convento non era rettilineo, ma, presentava un volume avanzato di cui non si conosce l’altezza.
La chiesa, unica particella che, nell’omogenea campitura rosata della struttura conventuale, si distingue assieme al porticato del giardino, aveva il presbiterio rettangolare, rivolto a settentrione, e la navata parallela alla via Grande.
Una successiva immagine del complesso monastico, risalente al 1770, si trova nel Libriciuolo consegnato al vescovo Lomellini assieme alla Carta della Diocesi di Luni-Sarzana di Matteo Vinzoni; è riprodotta anche nella pianta di Sarzana dell’Atlante dei Domini ridisegnata dal cartografo Colonnello Giacomo Brusco nel 1804. A differenza della carta di Panfilio qui si comprende che il grande complesso è stato diviso in due parti e che soltanto
quella verso mezzogiorno ospita il convento. È stato costruito un corpo edilizio che, includendo il presbiterio della chiesa, divide in due il giardino interno, configurando l’attuale cortile di palazzo Sartori. L’ala di mezzogiorno affacciata sull’orto è stata rettificata prefigurando il vano dell’attuale piazza Garibaldi. La parte a settentrione ha assunto il colore giallo che, nella cartografia dell’ultimo Vinzoni, assume l’edilizia privata.
Nella prima edizione della mappa, pubblicata sul Libriciuolo, è rappresentato anche il giardino, oggi Massa Neri, che non figura invece nel successivo Atlante.
La situazione raffigurata da Matteo Vinzoni è molto più aderente alla realtà odierna, il
giallo corrisponde a palazzo Massa Neri, all’adiacente palazzo Valenti in forma di corpo a sé
stante, e agli edifici su vico Bonicella. Il rosato descrive l’attuale palazzo Sartori con gli
edifici privati che circondano il chiostro ai quali sono stati in seguito aggiunti quelli su via
Landinelli che all’epoca non esistevano.

Elemento di un vano finestra dell’ex convento di Sarzana

La comunità monastica femminile giunse a Sarzana dopo lo stanziamento in città dei Frati
minori, fuori delle porte urbane di San Francesco e di Clausura. Il Targioni Tozzetti ricordava come “alcune donne Divote di S. Chiara, … si unissero per far vita monastica, coll’abito del Terz’Ordine, in casa di Giovanna de’ Costi l’anno 1309”, e come questa casa fosse situata nei pressi dell’attuale Seminario Vescovile dove il toponimo Monastero vecchio evocava ancora la sua presenza. Il luogo, chiamato anche “Clausura Superiore”, corrisponde all’attuale via Mascardi, esito del piano vescovile di ampliamento del 1230. Nonostante ci siano pareri non concordi sulla data dello spostamento del monastero, che il
Targioni anticipa al 1460, il cenobio dovette rimanere nel medesimo luogo: nel 1461, a detta del Casini, contava dieci monache.
Una nota del 1491 relativa alla costruenda Cittadella di Sarzana, da parte dei Fiorentini che
l’avevano conquistata il 22 giugno 1487 è, a mio avviso, dirimente sulla data del trasferimento del convento nel luogo attuale.
Per completare la fortificazione e potervi inviare un castellano era ancora necessario completare i fossati e, per questo, si doveva abbattere una parte del monastero di Santa Chiara, per ricollocarlo in una sede idonea: “perché da un lato noi voliamo che la fortezza habbi la protezione sua, ed dall’altro voliamo conservare o restaurare altrove il decto
Monastero”.
Il nuovo convento, fu visitato il 17 marzo 1584 da Monsignor Peruzzi, quando era abitato da 34 monache, e lo trovò in buono stato descrivendo la chiesa, con la clausura, che permetteva alle monache di assistere allo svolgimento delle celebrazioni liturgiche ed annotando che l’altare maggiore aveva le colonne di marmo Portoro dorato, ma nulla ci dice tuttavia della estensione del monastero e del suo sviluppo architettonico.
Il Targioni riferisce ancora che la chiesa, di cui non esiste più traccia, fu rimodernata e ridotta in volta nel corso del secolo XVIII, e della presenza di un’ancona di Domenico Fiasella, collocata sull’altare maggiore, raffigurante la “Vestizione di Santa Chiara”.
Il dipinto, oggi conservato al Museo Diocesano di Sarzana, risale al 1648 è famoso perché tra il popolo che assiste alla cerimonia si vede un autoritratto del Fiasella stesso che, in quel convento aveva la sorella Suor Deodata. La scena si svolge all’interno di una chiesa con le finestre sul lato destro, unica fonte di luce anche per la chiesa del monastero
sarzanese inglobata per gli altri tre lati tra le mura dell’edificio.
Il monastero, inizialmente posto sotto la cura dei Frati Minori, passò ai Frati Minori Osservanti nel 1534 e a quel periodo potrebbe risalire l’unico reperto dell’antico convento che consiste in un davanzale o sopraccielo in ardesia, con il monogramma di San Bernardino, conservato in palazzo Sartori.
Agli Osservanti subentrarono, tra il 1602 ed il 1777, i Frati Minori Riformati e, dal 1777, la cura del convento passò sotto la giurisdizione del Vescovo diocesano fino alle soppressioni
napoleoniche. Divenuto bene demaniale fu acquistato da privati che lo trasformarono in residenza entro la prima metà dell’Ottocento.

Roberto Ghelfi