Anche a Carnevale misuriamoci con la vita

Sappiamo che il termine Carnevale deriva dal latino “carnem levare”, letteralmente privarsi della carne ad indicare l’ultimo banchetto che, da tradizione, si consumava il giorno prima del mercoledì delle Ceneri, ovvero il martedì grasso.
Ma, al digiuno, dopo le leccornie carnevalesche, in un mondo che cambia canoni e regole a suo piacimento velocemente, crediamo ancora?
Mutano tempi e stili di vita, muta anche il linguaggio della Chiesa (Papa Francesco docet…) tanto che il cristiano fedele può sentirsi tale senza essere terrorizzato anche se, per distrazione, si avvicina ad un appetitoso cotechino.
Certo, nella sua primordiale ispirazione, il Carnevale era davvero una legittima infrazione alla routine quotidiana, in una società dove tutto era codificato. Era qualcosa di preciso che si sviluppava secondo canoni ripetitivi, pure nei paesi più piccoli e sperduti.
Si “evadeva”, gioiosamente e coralmente, travestendosi con abiti e scialli delle nonne, tirati fuori dai bauli che profumavano di foglie secche di alloro e lavanda. Nelle piazzette mai mancavano le allegre note della fisarmonica che invitavano tutti a piacevolissimi giri di valzer.
Si costruiva il fantoccio “Carnevale” bruciato prima della mezzanotte poiché all’iniziare della Quaresima doveva cessare la festa. Anche la più innocente come quella della schietta amicizia paesana.
Nostalgia? Certamente sì in quanto sana e rappresentazione di un’epoca storica, non senza ombre e difficoltà, certamente più rispettosa di forti valori dello stare insieme. Oggi siamo immersi in un Carnevale nel Carnevale dove ogni cosa, persino gli affetti, le emozioni più recondite, lo stesso dolore diventano spettacolo.
Siamo imprevedibili, soggiogati sovente da una impareggiabile lotta per emergere. Per riscuotere plausi e consensi, senza disdegnare il beneficio economico. È infatti facile essere sedotti da una falsa rappresentazione della realtà e dalla “cultura dell’immagine” che ci assale senza renderci conto di divenire spettatori di un fantomatico pianeta dove, apparentemente, tutto torna senza sforzo, dove i drammi sono spogliati delle connotazioni più concrete.
La vita una favola patinata dove non c’è posto che per il piacere di accarezzare ciò che la riempie, a mo’ di banale contenitore. Si naviga a vista ed il miraggio dà l’illusione del movimento mentre i progetti, partoriti dall’irrealtà, restano velleità. La vita, però, è dono troppo grande per cui non può essere frutto di improvvisazione, travestimento e maschere. Il Carnevale che verrà, targato 2024, che gusto avrà?
Lo sentiremo ancora come una festa in cui il divertimento “buono” privilegia la bellezza dei sorrisi, della condivisione, della stura al turismo, specialmente nelle città note per le sfilate dei carri dove hotel e affini registrano il “sold out”, nel totale rispetto delle norme morali e civili?
Benvengano l’allegria,il vociare dei bimbi, la pioggia di stelle filanti e coriandoli… il tutto in nome della libertà sinonimo di responsabilità quale momento alto e conclusivo della capacità di conoscere e valutare.
Misurandosi sempre con la vita. Ed allora il Carnevale resterà tradizione. E la tradizione, storia.

Ivana Fornesi