Vivere il Vangelo in una Chiesa in cui si è “tutti discepoli, tutti missionari”

Si è conclusa a Roma la prima sessione del Sinodo sulla sinodalità. A ottobre 2024 la seconda sessione

Papa Francesco partecipa ad uno dei tavoli del Sinodo dei Vescovi (Foto Vatican Media/SIR)

Il Papa seduto ad uno dei tanti tavoli di confronto, in mezzo agli altri, che ascolta e interviene come un normale padre sinodale di un’assemblea che non è un parlamento «il protagonista è lo Spirito santo»: è questa l’immagine simbolo della XVI Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi conclusa sabato scorso in Vaticano.
Il primo Sinodo dei vescovi con laici e donne presenti con diritto di voto, ha approvato un lungo documento finale con 336 si e 10 no. “Stiamo cercando di vivere il Vangelo e nessuno può sentirsi escluso”, ha sottolineato presentando il documento il cardinale Mario Grech.
Il testo approvato dai sinodali è diviso in tre parti: la prima delinea “Il volto della Chiesa sinodale”, la seconda “Tutti discepoli, tutti missionari”, tratta di tutti coloro che sono coinvolti nella vita e nella missione della Chiesa e delle loro relazioni. Infine la terza “Tessere legami, costruire comunità”.
Ogni capitolo raccoglie le tre settimane di dialogo e di confronto a porte chiuse. Tutte le proposizioni hanno raggiunto il consenso dei due terzi dei votanti.
Tra i punti meno condivisi il paragrafo sulle questioni da affrontare che riguarda l’accesso delle donne al diaconato. Per una parte del Sinodo ciò rappresenterebbe un passo “in discontinuità con la Tradizione”, per altri invece «ripristinerebbe una pratica della Chiesa delle origini».
Un altro punto meno condiviso è stato quello sul celibato dei preti. “La votazione conferma che sono punti aperti, che la discussione, la riflessione e l’approfondimento sono in corso”, ha commentato il cardinale Grech, segretario generale del Sinodo.
L’assemblea che “si è svolta mentre nel mondo infuriano vecchie e nuove guerre, con il dramma assurdo di innumerevoli vittime” si è focalizzata anche su altri punti.
In primo luogo “l’apertura all’ascolto e all’accompagnamento di tutti, compresi coloro che hanno subito abusi e ferite nella Chiesa”.
E poi i poveri, l’impegno dei cristiani per il bene comune, la missione, l’ecumenismo: dal Sinodo esce il ritratto di una chiesa che vuole aprirsi all’ascolto di tutti, valorizzando le diversità e coinvolgendo attivamente i fedeli.
Ci sarà tempo per analizzare, anche su queste colonne, i singoli aspetti dell’articolato documento di sintesi che sarà oggetto di riflessione nei prossimi 12 mesi, in vista della seconda sessione del Sinodo.

La lezione del Sinodo: il metodo più che il merito

(Foto Vatican Media/SIR)

Secondo alcuni osservatori il Sinodo appena concluso ha rappresentato un ritorno al Concilio.
Un giudizio che si presta a interpretazioni ambivalenti: un positivo ritorno allo spirito di apertura e di riforma di quella stagione, oppure l’amara constatazione che a 58 anni dalla fine del Vaticano II la comunità ecclesiale non ha fatto alcun passo avanti?
La conferma di una “ripartenza” dei contenuti conciliari dopo la progressiva normalizzazione degli ultimi quattro decenni o il riaffiorare delle riserve e delle prudenze di chi vorrebbe una Chiesa immutabile davanti a un mondo che cambia?
A leggere i commenti di vaticanisti, intellettuali cattolici e teologi usciti in questi giorni, il XVI Sinodo ordinario dei Vescovi assomiglia molto alla figura del bicchiere riempito a metà.
Parlano di bicchiere mezzo vuoto i delusi: quelli che hanno contestato la modalità comunicativa di un’assemblea sinodale chiusa ermeticamente ai mezzi di comunicazione e quindi alle sollecitazioni che giungevano da un mondo esterno, peraltro insanguinato da un nuovo conflitto, quelli che si aspettavano decisioni dirimenti sui temi in qualche modo imparentati al genere (i ministeri ordinati e le donne) o alla sessualità (divorziati risposati, celibato dei presbiteri, etc.), ma anche quelli che confidavano in un rilancio deciso dell’ecumenismo e si sono trovati un lungo documento finale nel quale le Chiese riformate non sono mai nominate.
Fanno parte dei delusi anche quelli che aspettavano da Francesco un utilizzo delle prerogative papali per assumere in proprio le determinazioni più importanti e controverse.
È proprio la scelta del Papa di non indirizzare il Sinodo, ma di accompagnarlo, l’aspetto che rende in realtà il bicchiere mezzo pieno, se non colmo.
La Chiesa in uscita immaginata da Papa Bergoglio fin dall’esortazione Evangelii Gaudium è una Chiesa che cammina insieme. Sinodale, appunto. Più che il merito delle questioni, a rendere positiva l’esperienza del Sinodo è stato il metodo, quello del confronto alla pari; dei 70 fedeli non vescovi e delle 54 donne con diritto di voto per la prima volta membri di un’assise fino ad oggi strettamente episcopale e meramente consultiva.
Se per le decisioni ci sarà un “secondo tempo” nella sessione di ottobre 2024, sul coinvolgimento dei laici e sulla corresponsabilità all’interno della comunità ecclesiale sarà difficile tornare indietro.
Il Sinodo sulla sinodalità ha infranto lo steccato che separa presbiterato e fedeli laici e messo in un angolo il clericalismo da sempre denunciato dal Papa come male della Chiesa.
La sfida è adesso quella di rendere permanente il metodo inaugurato da Francesco e riportarlo a tutti i livelli della vita ecclesiale. Non sarà facile, tra resistenze e diffidenze, come quelle con le quali in Italia si è a lungo ignorato l’invito del Papa, a Firenze nel 2015, ad intraprendere un percorso sinodale o il pochissimo entusiasmo che in molte diocesi ha contraddistinto il cammino sinodale di questi anni.
Gli ostacoli da superare non sono pochi, compreso quello rappresentato da un laicato talvolta più clericalizzato dei suoi preti, ma la strada tracciata in questo ottobre difficilmente potrà essere considerata una parentesi che un nuovo Vescovo di Roma potrà archiviare frettolosamente.

(Davide Tondani)