Tra professione  e famiglia: Matteo Vinzoni cartografo e padre

Cartografo militare di indubbia fama, ma anche padre di una numerosa famiglia cresciuta nella casa di Levanto acquistata nel 1722. Prima il lavoro sulle montagne fra il Gottero e Calice al Cornoviglio, poi ma l’Atlante di Sanità, ma anche la carta di Villafranca esempio fra i tanti di una fase di maturità formale fino al capolavoro incompiuto: l’Atlante dei Domini

Pianta di Villafranca del 1766 (particolare): è un’opera che ben rappresenta la maturità del cartografo nella rappresentazione del paesaggio. Al centro il borgo, a destra chiesa e convento di San Francesco. (Archivio di Stato di Firenze)

Il titolo richiama due principali aspetti della vita di Matteo Vinzoni che fu cartografo militare di indubbia fama, ma anche padre di una numerosa famiglia generata con Francesca, figlia del capitano Gentile, divenuta sua moglie, suppongo, verso il 1720.
La prima figlia Angela Lucrezia nacque, infatti, nell’aprile del 1721, probabilmente a Genova. Il 30 marzo 1722, acquistò a Levanto, la casa con la cappella del SS. Crocifisso, una dimora amata, che permetteva l’ascolto della Santa Messa in privato, ed era dotata di un ampio spazio appartato dove il cartografo, lontano da occhi indiscreti, poteva svolgere la sua attività molto legata anche alla sicurezza dello Stato.
Si era conclusa negli anni Venti del Settecento la prima fase dell’attività professionale di Matteo, quella che lo aveva visto all’opera sulle montagne in sinistra del Vara, a seguito del padre Panfilio Senior, di cui resta traccia nelle due grandi mappe (m 2 x 0,69) di cui una datata 1712, entrambe copie di un originale del 1711, che rappresentano il paesaggio del Vara, dal Gottero a Calice al Cornoviglio.

L’area del monte Gottero (particolare). La prima fase della cartografia di Matteo Vinzoni che si chiude intorno al 1720 utilizza una grafia convenzionale, ripetitiva e simbolica per rappresentare il paesaggio. (Archivio di Stato di Genova)

La rappresentazione convenzionale richiama i modi del pittore cartografo seicentesco che tuttavia Matteo Vinzoni supera agevolmente grazie alle sue innate capacità ed alla frequentazione della Scuola di Architettura Militare, istituita dalla Repubblica di Genova, alla quale fu ammesso nel marzo del 1715.
La Peste di Marsiglia del 1720 indusse la Serenissima alla difesa delle coste e, per fare questo, incaricò Matteo Vinzoni della redazione di un Atlante che riproducesse le due Riviere in modo da avere un quadro organizzato della situazione costiera con l’elenco di tutti i presidi militari, le torri e i castelli in numero delle guardie; i rilievi furono eseguiti fra il settembre del 1722 ed il 20 giugno 1723.
Matteo si cimentò con il rilievo sul campo e con la redazione di un impaginato, opera tecnico-grafica realizzata principalmente con la penna e poco colore steso ad acquerello.
Le tavole squadrate lasciano ampio spazio al mare che si popola di vascelli, tritoni, grifoni, figure mitologiche, scale grafiche e cartigli raffinati. Le Riviere sono descritte minutamente con un sottile tratteggio che narra di scogliere e promontori coltivati o selvaggi, di paesi fortificati e città.

Sarzana (particolare). La pianta (1773) è tratta dall’Atlante dei Domini, l’ultima opera del cartografo, che introduce la doppia coloritura degli insediamenti in giallo e rosso. Nella riproduzione in bianco e nero, il timbro più scuro è quello del verde dei giardini, quello intermedio è il rosso degli edifici speciali, quello più chiaro il giallo degli edifici residenziali. (Biblioteca Civica Berio, Genova)

Nel 1727, quindi durante il periodo della realizzazione dell’Atlante di Sanità, quasi ultimato soltanto nel 1745, Matteo Vinzoni fu incaricato da Gio. Francesco Brignole Sale di realizzare una carta dell’acquedotto di Genova, dalla quale fu ricavato l’atlante relativo.
A giudicare dall’immagine fotografica della carta, oggi distrutta, il disegno è completamente acquerellato senza tratti di penna, più coerente con i lavori delle due fasi successive. Si può comunque dire che questa sia una fase di passaggio fortemente caratterizzata dall’uso della penna, che si ritrova ancora nelle due immense carte dette del Richelieu del 1748 (2,36 x 1,65 ml per il Levante e 2,49 x 1,87 ml per il Ponente) e che l’uso dell’acquerello monocromo o colorato sia una tecnica acquisita e usata con padronanza che troverà maggior spazio nelle fasi successive.
La maturità del cartografo si coglie infatti quando il tratteggio viene ridotto all’essenziale e prendono corpo i cromatismi del paesaggio.
Una tavolozza di bruni, di verdi smaglianti e cupi, di azzurri velati ed ancora tinte ocra di timbro diverso, per rappresentare con velature di acquerello le ombreggiature dei versanti, i campi coltivati, le ghiaie dei fiumi, il bordo dei corsi d’acqua, talvolta rinforzato con tratti di penna, per rendere più efficace la descrizione del paesaggio.
Colori rosati o rossi vengono utilizzati per rappresentare gli isolati urbani.
In altri casi un timbro grigio chiaro, steso con pennellate sicure dai tratteggi sottili rappresenta le linee di un disegno di fondo sul quale appoggiare i cromatismi della natura. Molti sarebbero gli esempi da citare, ma qui ricordo soltanto la mappa del marchesato di Villafranca del 1766. Una mappa del 1765, di proprietà privata, pubblicata dal prof. Massimo Quaini, che riproduce il Borgo dello Stagno di Levanto, potrebbe essere presa come discriminante della fase finale della cartografia vinzoniana, quella caratterizzata dal duplice colore degli insediamenti rappresentati: il giallo per l’edilizia residenziale, il rosso per gli edifici speciali, le mura le fortezze i conventi e le chiese.
È lo stile delle tavole dell’Atlante dei Domini che sarà consegnato il 2 agosto 1773, il capolavoro incompiuto redatto dal cartografo con l’aiuto di Panfilio Jr. suo figlio. Qui scompaiono quasi completamente i tratti di penna ed è l’acquerello che fa rivivere tritoni, navicelli e velieri, presi in prestito dal ricco repertorio dell’Atlante di Sanità.
Ma ancora una volta la sua vicenda famigliare s’intreccia con il lavoro, non tanto quello dell’Atlante che comunque procedeva, ma la carta donata al vescovo Lomellini, rientrato a Sarzana nel 1770, dopo il suo volontario esilio massese.
Doveva presentarla suor Rosa Celeste, terza figlia del Vinzoni, ma la consegnò il mezzadro perché la giovane aveva beneficiato di una proroga alla sua licenza extramoenia presso la casa paterna.
La carta, corredata da un Libriciuolo esplicativo della storia dei possedimenti e delle parrocchie della Diocesi, mostrato al convegno levantese, sembra un tributo di riconoscenza per i favori concessi alla figlia, dato che al momento non è stato rinvenuto alcun incarico a Matteo Vinzoni, da parte del vescovo, per la redazione della carta. Sembra una specie di stato di consistenza del territorio della Diocesi di Luni-Sarzana prima dello smembramento della Diocesi di Pontremoli, avvenuto il 4 luglio 1787, per volere del Granduca di Toscana.
In questo senso l’opera poteva avere anche una concreta utilità.

Roberto Ghelfi