
Ad Aulla Emilia Petacco e Paolo De Simonis hanno presentato il libro di Riccardo Boggi “Ciel sereno terra scura”

“Cielo sereno terra scura, carne tenera non diventare nera, non ritornare dura” cantava Fabrizio De Andrè nella canzone che celebra la cima ripiena: un’invocazione per la buona riuscita della ricetta. E per tenere lontani i malefici si teneva vicina una scopa di saggina così se “dalla cappa scivola in cucina la strega, a forza di contare le paglie che ci sono, la cima è già piena e già cucita”.
Un riferimento che ha incantato i tanti che sabato 21 ottobre ad Aulla hanno affollato il salone della parrocchia di San Caprasio: uno spazio grande, ma non abbaastanza per contenere quanti sono accorsi alla presentazione del libro di Riccardo Boggi “Ciel sereno, terra scura. Racconti di segnature, paure e un saggio ritrovato” (GD Edizioni 2023, pagg. 200, euro 18).
La magia, la superstizione, i rimedi… un mondo di cultura popolare in gran parte scomparso ma che in qualche modo ancora sopravvive e del quale l’autore si era occupato negli anni Settanta per la ricerca che gli era stata affidata all’Università di Genova dal prof. Giacomo Devoto e che sarebbe diventata prima la tesi di laurea e, subito dopo, il prezioso volumetto “Magia, religione e classi subalterne in Lunigiana”(Firenze 1977).
Un libro andato ben presto esaurito, ancora oggi ricercato da studiosi, curiosi, appassionati, collezionisti. Perché per quanto possa sembrare un mondo lontano, fatto di antiche superstizioni e oscure credenze, come scrive lo stesso Riccardo Boggi “il bisogno di magia è sempre forte e difficilmente potrà scomparire, perché malattie e disagi richiedono che si tenti ogni strada per esorcizzarli”.
“Ciel sereno, terra scura” non è tuttavia la semplice ristampa del libro del 1977, bensì un’edizione completamente rinnovata anche con i disegni dell’architetto Anna Kunitz; un’edizione nella quale il saggio di allora è arricchito da nove racconti, testimonianze reali che Boggi aveva raccolto e che ci restituiscono, cristallini, aspetti di una cultura che è stata, più o meno consapevolmente, di tutti noi. Una cultura che si può rivelare? Formule “magiche” che possono diventare patrimonio collettivo?

“Sono formule che mi hanno insegnato – ha spiegato Boggi – e che io non ho mai applicato ma che ho continuato a raccogliere”. Giusto divulgarle? “Pubblicarle mi ha creato disagio, anche perché si dice che rivelarle accorci la vita…”, ha aggiunto scherzando.
A presentare il libro ad Aulla la dott.ssa Emilia Petacco e il prof. Paolo De Simonis. La prima ha voluto “rassicurare” l’autore: “aver rivelato queste formule è stata un’operazione scientifica” sottolineando come, nel nuovo libro, la premessa dei nove racconti “offra un’espressione spontanea e felice nell’introduzione al testo in una versione nuova e moderna che ci racconta il Riccardo di oggi”.
In maggioranza donne, le guaritrici, ma non mancavano gli uomini protagonisti di riti che abbiamo la possibilità di conoscere o riscoprire. De Simonis ha spiegato come quei protagonisti di una cultura così particolare vivessero quei fenomeni in modo spontaneo, senza trasformarli in oggetti di studio, semplicemente perché erano parte integrante della loro vita di donne e uomini appartenenti a quelle classi popolari e subalterne che non gestivano il potere perché si trovavano in fondo alla piramide gerarchica.
L’evoluzione sociale ha poi spesso trasformato contadini e artigiani in operai, in un’organizzazione sociale che ha appiattito le differenze, rendendo tutti simili l’uno all’altro e la “magia” si è in gran parte persa. Ma non del tutto: quella costituita da formule e riti recitati per guarire si è conservata, evolvendo, magari scendendo a compromesso con la scienza, ma è rimasta attorno a noi.
E così ci sono ancora donne, che “segnano” e un popolo di “fedeli” che crede in quei rimedi misteriosi, “magici”, perché possano guarire i mali del corpo e le inquietudini dell’animo. “Riccardo – ha sottolineato De Simonis – ha incontrato la magia entrando nelle case delle persone”, privilegio che lo ha portato a conoscere da vicino il loro carattere e le loro conoscenze.
E oggi? “Si ricorre a queste pratiche di magia certo per scacciare il malocchio, ma non solo – ha spiegato Boggi a conclusione del pomeriggio – perché ci sono ancora custodi di quelle antiche preghiere che continuano ‘a segnare’ nella riservatezza”. Già, perché se quella di avere il malocchio è destinata a restare tra le paure difficili da eliminare dalla società, il ricorso alla “magia” per la cura delle malattie si è affievolito ma non è scomparso: gli orzaioli e i vermi si curano con le medicine, ma resta ancora il ricorso alle formule di guarigione per il Fuoco di Sant’Antonio. Che non di rado funzionano.
Fede o superstizione? Ci viene incontro Emilia Petacco: “I rimedi, le segnature, hanno un potere terapeutico che deriva da Dio e chi possiede ‘l’arte della salute’ è automaticamente rivestito di quel potere e le preghiere recitate sono solo uno strumento indispensabile per garantirne l’efficacia”.
Paolo Bissoli