Fivizzano e le conseguenze  del terremoto del 1920

La relazione di Francesco Leonadi al convegno della “Capellini” alla Spezia

È terminata con la citazione di un monito di Loris Jacopo Bononi “Non basta celebrare. Bisogna fare”, la documentata e brillante relazione che Francesco Leonardi, funzionario della biblioteca E. Gerini di Fivizzano, ha tenuto il 22 settembre scorso all’Accademia Capellini della Spezia nell’ambito del convegno sugli aspetti storici, politici, economici e sulle conseguenze del disastroso terremoto del 7 settembre 1920.
Anche altri sismi, prima, hanno provocato danni notevoli, a partire (ma dei possibili precedenti non esistono documenti certi) da quello del 6°/7° grado del 7 maggio 1481, di cui il Capitano Bartolomeo Pucci scrisse: “Venne un terremoto terribile, lo quale ha fatto rovinare in questo paese 200 case”.
Furono, invece, lesionati l’Ospedale, la Chiesa e il palazzo pretorio dal terremoto del 21 gennaio 1767. Di quello dell’11 aprile 1837 un ragazzo di 10 anni riferisce che, alzando gli occhi al cielo, “gli parve di veder aprirsi la volta e vedere il cielo”.
Ma il geologo Carlo Caselli ricorda anche quelli del 1730 e del 1878. Il terremoto del 1920 fu particolarmente rovinoso e provocò 170 vittime, di cui 30 a Fivizzano, 13 a Vigneta, 15 a Sassalbo.

L’aspetto di Piazza Medicea prima del terremoto del 1920

Da questo terremoto, ha rimarcato Leonardi, fu determinato il destino del territorio fivizzanese, c’è chi sostiene “forse per sempre”, anche se oggi si intravedono segnali di ripresa per Fivizzano. Certamente oggi non è più quella del tempo della dedizione fiorentina.
I palazzi di piazza Medicea, ad esempio, furono tutti abbassati di un piano. La ricostruzione, che durò oltre 20 anni, fu difficile e “originò mostruosità, evidenti nel Teatro degli Imperfetti, nel palazzo Mancini, nel palazzo Domenichelli, nella demolizione della chiesa di San Giovanni. Ma anche il paesaggio circostante si trasformò profondamente, producendo una discontinuità forte nella storia politica, sociale, economica che segnò le conflittualità degli anni successivi”.
Anche la legge sulla ricostruzione contribuì ad impoverire il territorio, rendendo possibile riedificare in tutta la provincia di Massa Carrara. Di qui la corsa, anche speculativa, ad acquistare fabbricati distrutti che i proprietari non avevano possibilità o interesse a ricostruirli in Lunigiana, per riedificarli a Marina di Massa o di Carrara.
Per i materiali ci fu l’obbligo di acquistarli dall’Unione Edilizia a prezzi “decisamente superiori a quelli correnti: il ferro costava 180 lire al quintale invece che 110, ad esempio. Le cooperative locali, inoltre, erano escluse dai lavori e quelle che li eseguivano avevano difficoltà ad essere pagate”.
Tutto questo provocò una petizione ai parlamentari e agli Enti governativi, firmato da tutti i rappresentanti dei partiti e delle Associazioni locali affinché provvedessero a riportare nei binari della correttezza, della tempestività e della “moralità quanti affidavano o eseguivano i lavori”.
Oltre ai i ritardi e alle speculazioni anche “gli eventi della macro storia ebbero pesanti ripercussioni su Fivizzano ed il suo territorio, già pesantemente provati dal sisma”. Ne ha ricordati alcuni Leonardi: l’impoverimento delle campagne a seguito della Prima Guerra Mondiale; l’avvento del fascismo con l’uccisione di Gino Rossi e Piero Garfagnini a Monzone e la devastazione di Gragnola; la Seconda Guerra Mondiale col suo strascico di lutti e le tragedie degli eccidi; l’emigrazione di maestranze in cerca di occupazione; i grandi scontri sul tracciato della linea ferroviaria Aulla-Lucca, che alcuni volevano passasse per Fivizzano, mentre negli anni Venti deviò sulla Valle del Lucido ed Equi Terme, dove l’ing. Carlo Tonelli dava vita alle Terme; la statale 63, che ancora aspetta di diventare una “strada per l’Europa attraverso la Toscana e l’Emilia Romagna, alternativa all’autocamionale della Cisa”.
Molte opportunità perse, che hanno aggravato gli esiti del catastrofico terremoto del 1920 per Fivizzano e che la accomunano a molti altri territori che non possono accontentarsi di celebrare un glorioso passato, come invita a fare il motto del prof. Bononi.

Andreino Fabiani