I monumenti ai Caduti asserviti  al consenso politico

“Documenti di pietra” che onorano i sacrifici e gli eroismi dei giovani uomini sul fronte della Prima Guerra Mondiale. La parola della propaganda fascista e la parola umile del poeta

Il Sacrario di Redipuglia (da Wikipedia)

Epigrafi, incisioni, statue e monumenti accompagnano da sempre e dovunque la dinamica storia dell’umanità con motivazioni profonde. Così è dopo la vittoria italiana nella prima guerra mondiale: l’Italia si riempie, anche nei piccoli paesi, di monumenti di memoria e celebrazione della vittoria: sono “documenti di pietra” che onorano i sacrifici e gli eroismi dei giovani uomini sul fronte impervio della guerra di trincea, della guerra bianca ad alta quota.
Ma la vittoria portò delusione, si parlava di “crisi nella vittoria” e molti italiani, a partire da reduci, ufficiali, studenti e soldati semplici, ebbero l’impressione che tutti gli sforzi compiuti fossero misconosciuti e si andava esasperando un risentimento nazionalistico, le discussioni sui nuovi confini orientali italiani erano avvelenate dalla polemica sempre più aspra tra gruppi italiani e jugoslavi.
Di nazionalismo e patriottismo retorico si nutriva il movimento fascista, organizzato nel 1919 in “Fasci di combattimento”, che già fanno scalpore con l’ardita spedizione su Fiume (1919-Natale 1920) guidata dal “vate” Gabriele D’annunzio.
Mussolini capo del movimento presto trasformato in partito fascista si impegnò con tenacia a cavalcare il grosso disagio della cosiddetta “vittoria mutilata” sollecitando strumentalmente l’innalzamento di monumenti per avere consensi e assegnare ai fascisti il merito della difesa degli interessi della nazione.
Lo storico Emilio Gentile usa l’espressione “politica armata” nel senso che si formarono organismi paramilitari che portarono la violenza armata nella lotta politica, che miravano a distruggere le istituzioni della “placida società borghese” e a far fuori i proletari socialisti che volevano la rivoluzione e avevano occupato le fabbriche.
Con armi da fuoco e armi bianche e ancor più col preferito manganello e l’intestino purgato con olio di ricino, i ragazzi con la camicia nera incendiavano Camere del lavoro e Case del popolo e vigilavano sui tanti nuovi monumenti stravolgendone il valore di simboli che trascendono l’oggetto in sé (carme foscoliano “Dei sepolcri”).

La vita di trincea, che è tornato il nostro tormento nella maledetta guerra in corso in Ucraina, fu canto del poeta Giuseppe Ungaretti; volontario si arruola ma subito fa esperienza della violenza dentro l’ingranaggio cieco della distruzione e ritrova la fraternità umana, i valori essenziali e umili della vita; contro l’ampollosa retorica trova anche la “parola essenziale, scavata dentro di sé come un abisso”e il ritmo è reso evidente dal silenzio, dalla pagina bianca. Un esempio.

Cessate d’uccidere i morti,
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.

Hanno l’impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo.

La pietà aveva creato cimiteri di guerra per dare ultimo asilo e rendere sacre le “reliquie” dei seicentomila ragazzi stroncati da morte. Ma non tutte le salme erano state identificate (sempre così succede), quindi una legge del 1920 su incarico del Ministero della guerra (ora lo chiamiamo della difesa, ma la guerra non sparisce) porta alla creazione di una Commissione che percorse tutti i campi di battaglia e raccolse undici salme di impossibile identificazione, prima portate nella basilica di Aquileia.
Il 21 ottobre 1921 una di queste salme fu scelta per portarla a Roma. Una donna di Trieste, Maria Bergamas, fu chiamata a scegliere in ricordo di suo figlio Antonio, che aveva disertato l’esercito austriaco per passare a combattere per “redimere” dal dominio straniero le terre altoatesine, il Friuli e la Venezia Giulia e l’Istria.
Della cerimonia di trasporto in treno a velocità moderata del “Milite ignoto” i fascisti fecero una sfilata di propaganda ideologica e politica che favorì poco dopo la loro conquista del potere consolidato in forme totalitarie.
Non tutte le donne che si inginocchiavano al passaggio del corteo funebre si fecero convincere dalla propaganda, e il Milite Ignoto, sepolto all’Altare della Patria sotto la “dea Roma” , è diventato il nostro monumento, è la patria di ogni italiano.
In conclusione, una corretta, libera analisi storica del periodo dal 28 ottobre 1922 al 25 luglio 1943 ci dice che l’Italia conobbe una fosca dittatura fascista con molti che erano d’accordo con essa in tutto e per tutto.
Ma vi fu anche “un’Italia apolitica non del tutto operante entro gli schemi della dittatura fascista e un’Italia nettamente antifascista” (Armando Saitta). Una tripartizione che costituisce la spina dorsale della storia italiana nel ventennio e che si è fatta europea e mondiale, anche nel momento che stiamo vivendo.
In libri importanti usciti nel centenario della vittoria le riflessioni critiche degli storici sulla Grande guerra ruotano su due poli: sacrificio e fallimento, questo si sarebbe potuto evitare e invece divenne esso stesso materia di propaganda a vantaggio dei fascisti.

Maria Luisa Simoncelli