Codice di Camaldoli, un anniversario per il presente

Nel luglio di 80 anni fa la redazione del documento dei laureati cattolici divenuto guida del cattolicesimo politico negli anni della rinascita democratica dell’Italia. Un modello da ripercorrere oggi?

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il card. Matteo Zuppi in occasione del convegno sul Codice di Camaldoli del 21 luglio scorso. (Foto Ufficio Stampa) Presidenza della Repubblica

La redazione di Per la comunità cristiana. Principii dell’ordinamento sociale, meglio noto come Codice di Camaldoli ad opera del Movimento Laureati di Azione Cattolica e dell’Istituto cattolico riunitisi nella località del Casentino tra il 18 e il 24 luglio 1943 per la consueta Settimana teologica, è in queste settimane oggetto di celebrazioni per i suoi 80 anni.
Un primo momento commemorativo è stato organizzato dalla comunità dei monaci camaldolesi dal 21 al 23 luglio, con la partecipazione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del Presidente della CEI, cardinale Matteo Zuppi.
Il Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale (Meic), erede diretto del Movimento Laureati, ricorderà il Codice all’interno della Settimana teologica che, sempre a Camaldoli, si terrà a fine agosto. Stiamo parlando di un documento determinante non solo per i cattolici, ma per l’intera società italiana.
Lo testimonia il Presidente Mattarella che lo scorso 25 aprile parlò di uno Stato in crisi “tanto da indurre un gruppo di intellettuali cattolici a riunirsi a Camaldoli, a pochi giorni dal 25 luglio 1943, con l’intento di riflettere sul futuro, dando vita a una carta di principi, nota come ‘Codice di Camaldoli’, che lascerà il segno nella Costituzione. Con la proposta di uno Stato che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini”.

(Foto: Wikipedia)

In 99 proposizioni riguardanti il rapporto tra uomo e Stato, il lavoro, l’educazione, l’economia e i rapporti internazionali, gli intellettuali cattolici delinearono un nuovo ordinamento sociale in netta contrapposizione con il totalitarismo fascista e che, partendo dalla dottrina sociale della Chiesa, proponeva risposte concrete alla vita reale del Paese.
L’ancoraggio forte alle encicliche sociali, dalla Rerum novarum (1891) al Radiomessaggio di Natale di Pio XII (1942), fu palese. Ma i giovani intellettuali – la loro età andava dai 24 ai 40 anni – assunsero una linea decisamente più avanzata: da un lato sposando totalmente l’ideale democratico e rifiutando sia il ritorno allo Stato liberale prefascista, sia l’ideale di uno Stato “cristiano” che solo poche settimane dopo, nell’agosto del 1943, venne prefigurato da Luigi Gedda con la sua offerta a Badoglio di un appoggio della Chiesa al regime militare in cambio dell’affidamento all’Azione Cattolica della direzione degli enti e delle organizzazioni di massa create dal fascismo.

Veduta aerea dell’eremo di Camaldoli (foto da: www.camaldoli.it)

Dall’altro lato i princìpi fissati a Camaldoli sopravanzarono tesi considerate sorpassate sin dalla fine del primo conflitto mondiale e dai cambiamenti che questo produsse. Il rifiuto di un’idea di società corporativa e l’affermazione di una visione personalistica del rapporto uomo/Stato furono le punte più avanzate di uno sforzo intellettuale che riecheggerà nella futura Costituzione: l’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini entreranno nei futuri articoli 2 e 3; l’idea del diritto al lavoro e di uno Stato promotore della piena occupazione sarà tradotta nell’articolo 4 della Carta; l’affermazione della funzione sociale della proprietà privata rientrerà nell’articolo 42; il ruolo della donna lavoratrice e le sue tutele confluiranno nell’articolo 37.
Questo coordinamento tra principi cattolici e vita dello Stato laico furono resi possibili grazie allo sforzo di Giovanni Battista Montini: il futuro Paolo VI, da assistente del Movimento Laureati, impegnò gli intellettuali cattolici fin dagli anni ’30 sul binomio fede-cultura e sulla preparazione teologica dei laici, cercando di conciliare teologia e cultura profana.
“La presenza politica – ha affermato il cardinale Zuppi al convegno di due settimane fa – rinasceva dal grembo della cultura. Uno dei problemi di oggi è invece proprio il divorzio tra cultura e politica, non solo per i cattolici, consumatosi negli ultimi decenni del Novecento, con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati”.
Parole, quelle dell’arcivescovo di Bologna, che ben si coniugano che lo scarso interesse mostrato nelle scorse settimane per l’anniversario del Codice: sia nel mondo politico, dove nemmeno i partiti e le correnti più affini a quella storia hanno prodotto un momento di attualizzazione dell’esperienza camaldolese, sia nel mondo ecclesiale, che da tempo non riesce ad esprimere alcuna significativa progettualità politica.
Davanti alla complessità del presente, ha detto Zuppi, “siamo spesso, giovani e meno giovani, segnati dalla paura. Lo si vede di fronte alla politica”.
E il cambiamento d’epoca a cui stiamo assistendo non sta producendo, come in quel luglio del 1943 “l’audacia di chi crede in una visione e sente di dover prendere la propria responsabilità”.
Commemorare Camaldoli, dunque, non è solo un esercizio retorico sui tempi andati, ma – le parole sono sempre del Cardinale Zuppi – “una chiamata alla responsabilità: per guardare lontano e non essere prigionieri del presente”

(Davide Tondani)