Merita maggiore attenzione la questione salariale in Italia

Il grande problema del nodo del “lavoro povero”. In Italia manca il salario minimo: ma la maggioranza punta sulla riduzione del cuneo fiscale

In Italia esiste una grande questione salariale. Siamo l’unico Paese europeo in cui, tra il 1990 e il 2020 i salari – misurati a parità di potere d’acquisto – sono diminuiti. Fino al 2010 sopra la media, è iniziata poi la discesa: nel 2021 gli stipendi medi in Europa hanno superato abbondantemente i 33 mila euro, da noi si sono fermati sotto i 30 mila.
È in questo contesto, già di per sé problematico, che va collocato il nodo del “lavoro povero”. All’art.36, la Costituzione afferma che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Un principio il cui mancato raggiungimento dovrebbe indurre tutte le forze politiche ad affidargli un posto prioritario nei programmi. Non che non se ne parli, anzi, la discussione è aperta da tempo. Centrosinistra e le opposizioni in generale sono concordi nel puntare sul salario minimo legale, la forma che affronta in modo più diretto il problema.
L’Italia è l’unico membro del G7 a non prevedere questa soluzione, adottata anche dalla maggior parte dei Paesi più sviluppati aderenti all’Ocse.

Il presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni

La maggioranza di governo, assieme a studiosi indipendenti e alla Cisl, è contraria; la premier Meloni, in particolare, punta sulla riduzione del cuneo fiscale. Le controindicazioni non mancano e soprattutto la buona tradizione italiana della contrattazione collettiva merita di essere valorizzata.
La direttiva europea, da recepire entro il 2024, collega il salario minimo deciso per legge con la sussistenza di una non adeguata copertura contrattuale e lascia gli Stati liberi di decidere. In Italia questa copertura è tra le più elevate e sicuramente superiore ai requisiti richiesti.
Ma Inps rileva che poco meno di 3 milioni i lavoratori si trovano comunque “sotto soglia”. Il proliferare dei cosiddetti “contratti pirata” contribuisce a distorcere il quadro complessivo. Si parla spesso dell’aumento degli “occupati” ma di che tipo di occupazione si tratta? Sarebbe un gran bel segnale se il Parlamento come tale si facesse carico di accendere una luce sul mondo del lavoro.
Per esempio, attraverso una commissione d’inchiesta che sarebbe molto più utile e feconda di quella che si va configurando sulla gestione della pandemia. La prima commissione bicamerale d’inchiesta della Repubblica – era il 1955 – fu istituita per condurre “un’indagine sulle condizioni dei lavoratori delle aziende in ordine all’applicazione della legislazione sociale e dei contratti collettivi, al trattamento dei lavoratori ancora non tutelati dai contratti collettivi, alle condizioni morali e ai rapporti umani nei luoghi di lavoro, alle provvidenze sussidiarie e integrative in atto nelle aziende”.
Un precedente che merita di essere tenuto in considerazione.

Agensir