Io sono il pane vivo disceso dal cielo

Domenica 11 giugno – Solennità della SS.ma Trinità
(Dt 8,2-3.14-16; 1Cor 10,16-17)

La festa del Corpus Domini è l’occasione di riprendere la celebrazione del memoriale che Gesù ci ha lasciato la sera del giovedì santo per esprimere con tutta la solennità di cui siamo capaci la nostra devozione alla Eucaristia, cosa che non è possibile fare durante la Settimana Santa.
1. “Il pane che io darò è la mia carne”: queste parole dette da Gesù al futuro si realizzano durante la cena. Comunemente noi usiamo l’espressione parallela che ha lo stesso significato: “Questo (pane) è il mio corpo offerto per voi”. Nella sua passione Gesù ha offerto il suo corpo ai discepoli e la sua volontà al Padre: “Prendete, mangiate”, “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Nella celebrazione della Messa noi ricordiamo questa doppia offerta di Gesù, al Padre e ai fratelli, offerta che ci coinvolge in prima persona.
2. Come può costui darci la sua carne? La perplessità suscitata dall’Eucaristia non è mai stata un mezzo facile di diffusione del messaggio cristiano. Eppure già nel Primo Testamento Dio aveva preparato il suo popolo ad accogliere una sua presenza nella parola creatrice, nelle tavole dell’Alleanza, nella manna discesa dal cielo. Al tempo di Gesù era nell’aria l’attesa della presenza di Dio, anche se nessuno poteva immaginare che il Figlio di Dio venisse di persona e ci lasciasse un segno così concreto della sua presenza.
3. Colui che mangia me vivrà per me. Nella Eucaristia il cristiano è intimamente connesso con Gesù che lì è presente in atto di donarsi per amore. Il dono ricevuto ci provoca nel nostro stile di vita, perché Gesù dice: “Fate questo in memoria di me”. Non solo ci invita a ripetere il gesto della cena, ci invita a farlo come l’ha fatto Lui, come espressione dello stesso amore pronto a donarsi. Nella partecipazione all’Eucaristia siamo invitati non a offrire soltanto pane e vino, come oggetti materiali e inerti; e neppure possiamo limitarci a offrire soltanto Cristo. Siamo invitati a donare noi stessi, perché non c’è amore finché ci si accontenta di donare un bene esteriore, per quanto prezioso possa essere. Nel regalo a un amico noi doniamo un segno di vicinanza, ma stiamo attenti a non andare oltre perché abbiamo paura di donare noi stessi. Gesù invece non ci ha fatto regali, si è fatto dono per noi, ci ha lasciato tutta la sua persona. L’amore non consiste nel donare, ma nel donarsi, e il dono personale ha una sua forza vincolante che impegna alla risposta: gratuito non significa indifferente. Nulla è più impellente della sollecitazione che viene da un dono autentico, perché non è il donante che esige una risposta, è il dono stesso, e l’Eucaristia è impegno vincolante a lasciarsi plasmare dal dono divino ricevuto. Dio non si contenta del nostro rispetto, della nostra obbedienza, e neppure della nostra preghiera, se rispettandolo, obbedendogli e pregandolo, restiamo chiusi nel nostro egoismo.

† Alberto