La sentenza del Tribunale: nessuna condanna per  l’alluvione di Aulla

Undici imputati tra funzionari tecnici e amministratori locali assolti per le ipotesi di reato connesse alla tragica alluvione del 25 ottobre 2011

Un'immagine di Aulla, all'indomani dell'alluvione del 25 ottobre. Uno dei momenti più drammatici vissuti in Lunigiana negli ultimi anni.
Un’immagine di Aulla, all’indomani dell’alluvione del 25 ottobre. Uno dei momenti più drammatici vissuti in Lunigiana negli ultimi anni.

Un altro capitolo dell’alluvione del 25 ottobre 2011 è stato chiuso: quello relativo al processo penale relativo al tragico evento che ad Aulla costò distruzione e danni e soprattutto la morte di Enrica Pavoletti e di Claudio Pozzi. Il tribunale di Massa ha emesso la sentenza di primo grado, assolvendo gli 11 imputati, tutti con formula piena tranne tre per i quali è intervenuta la prescrizione. Assolti dall’accusa di disastro colposo «perché il fatto non sussiste» Lucio Barani, primo cittadino di Aulla dal 1990 al 2004, Roberto Simoncini, alla guida del comune nei giorni drammatici dell’alluvione e il suo vice Gildo Bertoncini. Assolti dalla stessa ipotesi di reato i tecnici e i dirigenti della Provincia di Massa Carrara Giovanni Menna, Gianluca Barbieri e Stefano Michela, e quelli del Comune di Aulla Franco Testa, Giuseppe Lazzerini, Mauro Marcelli e Ivano Pepe.

Non luogo a procedere invece per il reato di omicidio colposo, perché prescritto, di cui erano accusati Simoncini, Marcelli e Giovanni Chiodetti, l’ex assessore comunale alla Protezione civile. Il Pubblico Ministero Marco Rappelli aveva chiesto 5 anni e 4 mesi di pena per Barani, 8 anni e 10 mesi per Simoncini e pene da 5 anni e 4 mesi a 3 anni e 9 mesi per gli altri imputati: richieste respinte dalla giudice Valentina Prudente, che con la sentenza di assoluzione ha di fatto chiuso il sipario sulla vicenda giudiziaria. Con la prescrizione già intervenuta per l’ipotesi di omicidio colposo e prossima ad arrivare (il 25 ottobre 2023) per il disastro colposo, non c’è più spazio per un appello, a cui peraltro non potrebbero ricorrere le quattordici parti civili ammesse al processo, una novità della recente riforma Cartabia. Per i familiari delle due vittime rimane ancora percorribile la strada del processo civile per la richiesta di risarcimento danni dal momento che il reato di omicidio colposo è stato prescritto, senza assoluzione. I tempi lunghi, lunghissimi, della giustizia sono stati l’elemento più evidente di un’inchiesta inizialmente coordinata dalla PM Rossella Soffio e che è proceduta tra rinvii e ripetute modifiche della composizione del Tribunale dopo il trasferimento del primo giudice, Giovanni Sgambati, sostituito successivamente da Antonella Basilone e Valeria Vincenti, fino all’assegnazione a Valentina Prudente, con la quale nel 2020 è ripartita da capo la fase istruttoria con l’inevitabile ripetizione di udienze già svolte.

A lamentarsi di un procedimento durato 11 anni e mezzo sono stati anche diversi imputati al momento della lettura della sentenza. Le indagini del dopo alluvione si mossero a tutto campo, scandagliando anche il ruolo giocato dallo svuotamento della diga della Rocchetta, ma strinsero alla fine il campo sul piano di protezione civile del Comune di Aulla, sul funzionamento della cassa di espansione di Chiesaccia e sulla costruzione di nuove case all’interno dell’alveo del fiume. La Procura della Repubblica ha costantemente sostenuto che la causa dell’alluvione andasse ricercata nella cassa di espansione di Chiesaccia, non collaudata e non vigilata dai tecnici della Provincia, che invece di contenere la portata del Magra in piena scaricò la sua energia su Aulla, in particolare sugli edifici costruiti in area esondabile a partire dal 1994. A questi due elementi, secondo la Procura, si aggiunse il mancato allarme alla popolazione. Le motivazioni, tra qualche mese, diranno di più su una sentenza che, con l’assoluzione di tutti gli imputati sembrerebbe aver sposato la tesi, sostenuta anche da diversi legali della difesa, che il 25 ottobre la Lunigiana e Aulla si trovarono a vivere un evento naturale catastrofico che non si poteva evitare.

Quelle “costruzioni che lì non ci dovevano essere”

L’eccezionalità dell’evento che il 25 ottobre di 12 anni fa colpì Cinque Terre, Val di Vara e la parte occidentale della Lunigiana è nella memoria di chi ha vissuto quel drammatico pomeriggio ed è stata certificata dalle rilevazioni meteorologiche. L’accertamento di eventuali responsabilità, per quanto doverosa (in primo luogo per le vittime dell’inondazione) non può prescindere da questo aspetto fondamentale.
Tuttavia, è innegabile che nel corso dei decenni l’agire umano ha creato le condizioni affinchè un evento naturale potesse ampliare la sua dannosità. Edifici e strade si sono espansi nei fiumi della val di Magra rendendosi protagoniste di inondazioni registrate dalla memoria collettiva prima ancora che dai Piani di Bacino del Genio Civile.
Parliamo di una parte consistente dell’area artigianale di Santa Giustina, a Pontremoli, del quartiere residenziale e commerciale del Masero, poco fuori Terrarossa, stretto tra Taverone e Civiglia nei pressi della loro confluenza con il Magra, allagato anche nel 2013; o del complesso di Bagni di Podenzana, costruito sotto il livello del ponte stradale negli anni ’90, stesso periodo in cui ad Albiano, nei terreni alluvionali, si costruivano capannoni industriali e un nuovo quartiere residenziale, poi completato con una scuola. Ad Aulla la piazza delle corriere, il cinema e la parte di municipio che ospitava la biblioteca prima di essere travolta dalle acque nel 2011, furono costruite dove negli anni ’50 vi era il campo sportivo di cui circolano ancora le foto dell’allagamento in seguito ad una delle periodiche piene autunnali del fiume.
Elencare, in forma incompleta, i siti di questa sconsiderata corsa alla cementificazione degli alvei non significa voler imbastire nuovi processi e cercare vecchi colpevoli, ma solo guardare in faccia la realtà, come fece il Procuratore di Massa Carrara Aldo Giubilaro, che due giorni dopo l’alluvione del 2011 sorvolò su un elicottero le aree inondate della Lunigiana e dichiarò «dall’alto ho visto cose che non avrei voluto vedere; abbiamo visto ad occhio nudo, soprattutto con riferimento all’andamento del fiume Magra, l’inopportunità di costruzioni che lì non ci dovevano essere».