I sapori di una volta: perché erano così buoni

L’ultimo libro di Emilia Petacco è un viaggio imperdibile fra curiosità, documenti d’archivio e ricette

Non tragga in inganno il titolo: “Chiacchiere di cucina” di Emilia Petacco (con presentazione di Riccardo Boggi) non è un libro di ricette, o almeno non è solo quello considerato il fatto che queste ci sono eccome. E non è nemmeno solo, come si legge nel sottotitolo, un libro di curiosità e documenti scovati negli archivi pubblici e privati della zona. Piuttosto è un libro che si misura con la storia, le tradizioni nostre e del territorio che abitiamo o che conosciamo. Curiosità di paesi e preparazioni di casa: un intero mondo di emozioni!
“All’interno dei riti tradizionali – scrive l’autrice in una pagina del libro – ciascuna famiglia aveva le proprie ricette che venivano tramandate con orgoglo, di generazione in generazione, gesti, abitudini, sapori che si fondevano magicamente in una preparazione che era qualcosa di più di un semplice piatto. Ancora oggi è amore, è storia, è custodire con passione, il nostro passato”.
Emilia Petacco è donna della Bassa Val di Magra, quell’area che non ha ha ancora deciso se essere davvero ligure fino in fondo, ma che intanto ha messo da parte un tesoro di culture e tradizioni nel quale tanti si possono riconoscere. Sono pagine che si leggono d’un fiato, frutto di un lungo lavoro svolto tra vecchie carte che l’autrice, come pochi altri, sa trovare e studiare.
Anche un libro di curiosità, si diveva, come quella che i Genovesi fin dal 1320 erano produttori di pasta. E chi lo avrebbe detto? Invece “l’aria fresca e asciuta della terra ligure” facevano della repubblica marinara “un centro di produzione di eccellenza” anche perché nel porto arrivavano i migliori grani da tutto il Mediterraneo.
Ma è anche e soprattutto un libro di storia di popoli e di tradizioni di famiglia, tutte – fossero contadine o nobili, di periferia o cittadine – accomunate dallo stretto rapporto con i cicli spontanei della natura e con i prodotti che essa offre nei diversi periodi dell’anno. E che in comune avevano il gusto (e il sapore…) della festa, vissuta in relazione e simbiosi di comunità anche se ciascuno a casa propria: “Feste che trovavano a tavola un loro momento in un piatto presente su tutte le tavole del paese, come fosse un’unica tavolata”.
E poi le ricette, “una cinquantina”. A queste è dedicata la seconda parte del libro, ma le citazioni di quelle preparazioni accompagnano il lettore in tutte le pagine. “Dolci, sfoglie fatte a mano, pasta ripiena, succulenti sughi di carne, ravioli di ogni tipo” e poi “quaglie arrosto, oche arrosto, cappone, tacchino, vitella, capra, formaggi, succa alla brace, noci, frutta fresca, pane alle erbe, vino aromatizzato”.
Tra le meglio imbandite, oltre a quelle dei pranzi di nozze (bella la citazione della lista rinvenuta nell’archivio della Cattedrale di Pontremoli e relativa ad un pranzo di nozze del 15 gennaio 1788), c’era la tavola di Pasqua.
A Genova, ci racconta Emilia Petacco, “si mangiavano lattughe ripiene, torta pasqualina, cima, agnello, arrosti, insalata con le uove sode, verdure, canestrelli, vino buono frizzante”. E per Santa Zita? “Oltre ai ravioli e alla cima ripiena si mangiava la fetta di pane unta con sale e olio”. Ricette, cibi e tradizioni tipici di quel territorio che prolunga la Lunigiana interna fino al mare e nei quali ogni lettore potrà riconoscersi nel confronto di feste e tradizioni, cibi e abbinamenti.
Senza dimenticare le protagoniste nascoste (ma neanche tanto, poi…) del libro: le donne. Con la loro creatività, i loro saperi, la loro capacità di custodire, adattare, inventare nella perseveranza di ogni giorno, nonostante vite spesso dure e caratterizzate da molteplici difficoltà.

(p. biss.)