Gioco d’azzardo: la salute al terzo posto

Da anni in Italia si parla della necessità di riformare il settore del gioco d’azzardo. L’ultimo tentativo, in ordine di tempo, è l’articolo 13 della nuova legge di delega fiscale che si occupa dei giochi; il disegno di legge è stato approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso solo dopo Pasqua alle Camere, ma non è ancora approvato dal Parlamento.
Il sociologo Maurizio Fiasco, che ha fatto parte dell’ultimo Osservatorio del ministero della Salute sul gioco d’azzardo, mette in evidenza al Sir alcuni aspetti che destano preoccupazione, ricordando il lungo iter di questa normativa iniziato nove anni fa con la delega per la riforma del settore del marzo 2014.
La Commissione incaricata redasse alcune bozze poi valutate non coerenti con la delega stessa. Niente di fatto nemmeno nel 2016, nell’ambito della finanziaria votata a dicembre 2015. Si arrivò, così, al settembre 2017, ma pure quella bozza, per eccesso di delega e per illegittimità degli articoli in essa contenuti, non fu approvata. Ora si rinnova il tentativo con l’articolo 13 della nuova legge di delega fiscale.
In questi 9 anni, sottolinea il sociologo, molto è cambiato: si gioca quasi il 60% di più rispetto al 2014, ma si incassa di meno da parte dello Stato. Questo è un punto interessante, visto che si parla di delega fiscale. Nel 2022 si incasserà (calcoli in corso) la stessa cifra o poco di più di ciò che si incassava nel 2014, intorno a 8 miliardi; però nel 2014 si giocarono 85 miliardi e mezzo mentre nel 2022 se ne sono giocati 135.
Una valanga di gioco d’azzardo, che ha delle conseguenze sulla salute e sulla condizione economica e sociale del Paese molto più gravi di 9 anni fa. In una situazione di aumentato disagio economico delle famiglie, anche a causa della pandemia, c’è un dirottamento delle risorse verso i giochi e non verso le esigenze familiari.
La delega fiscale inverte, in modo scorretto, la gerarchia dei valori in gioco, che dovrebbe vedere al primo posto la salute, proseguire con l’interesse fiscale dello Stato – entrambi di interesse pubblico – e infine il profitto privato.
L’articolo 13 in questione inverte esattamente l’ordine, con la salute relegata al terzo posto. Prima della pandemia, lo Stato ricavava dai giochi un miliardo e mezzo in più rispetto ai concessionari. Attualmente i concessionari ricavano mezzo miliardo più dello Stato.
Nel 2021 lo Stato ha preso il 48,5% dei ricavi, i concessionari il 51,5. Nel 2022 le percentuali varieranno di circa 4 punti in meno e in più. Ciò deriva dal fatto che nel gioco on line (70% del totale) mentre lo Stato incassa uno, i concessionari prendono tre.
Una deriva che continuerà nei prossimi anni. Se davvero vogliamo perseguire l’interesse dello Stato, tutto il settore dei giochi dovrebbe subire un netto taglio, come accadde per il consumo di tabacchi, visti i costi sociali e la conseguente spesa per lo Stato. La delega fiscale dovrebbe essere, in teoria, l’occasione per mettere al primo posto anche solo l’interesse fiscale dello Stato, anche per tagliare i costi che l’erario sopporta per tutta la parte socio sanitaria che la dipendenza dal gioco d’azzardo comporta.

G.A. – Agensir