Pontremoli. L’omelia del vescovo Mario al pontificale di Pasqua nella concattedrale
Il vescovo fra’ Mario Vaccari ha celebrato, alle 18 di domenica scorsa, il pontificale di Pasqua nella concattedrale di Pontremoli; concelebranti don Graziano Galeotti, don Pietro Pratolongo e don Jules Ganlaky, tre dei parroci che compongono, assieme a don Giovanni Perini, l’équipe pastorale da poco nominata dal vescovo diocesano alla guida delle parrocchie della città di Pontremoli. L’animazione dei canti è stata curata dalla Corale S. Cecilia, diretta dal maestro Federico Orsini; organista il prof. Piergino Maurelli. Nell’omelia, fra’ Mario ha proposto ai numerosi fedeli presenti in duomo una riflessione sul mistero pasquale a partire dal Vangelo proclamato dal diacono Alessio Bertocchi: l’incontro con Cristo risorto dei due discepoli sulla strada per Emmaus.
Dopo la gioia provata per la risurrezione di Gesù – ha detto il vescovo – “come i discepoli di Emmaus, ci sentiamo un po’ delusi perché, dopo più di 2.000 anni, le cose brutte riaccadono: le guerre, l’odio tra i popoli, la violenza; a tutto questo si aggiungono le difficoltà personali, le malattie… ‘Speravamo’ che le cose cambiassero ma esse continuano ad andare avanti secondo un destino che ci sembra ineluttabile”. Per riuscire a riconoscere Gesù risorto, presente e vivo in mezzo a noi, bisogna riandare alle letture della Veglia e del giorno di Pasqua; poi, ancora, a quelle dell’Ottava di Pasqua. Da esse parte un fascio di luce che, come se un cristallo lo rifrangesse, si scompone in tanti colori, “tanti quanti sono i discepoli, le donne, coloro che l’avevano seguito fin dalla Galilea con i loro beni, lo avevano servito”. Già nella Veglia, dal vangelo di Matteo veniva sottolineata una cosa importante: la testimonianza delle donne. Hanno trovato il sepolcro vuoto, hanno incontrato Gesù, “sono mandate ad annunciare questo evento inatteso, inaudito ai loro fratelli, che stavano ancora chiusi nel Cenacolo”, mentre “le donne non stanno rinchiuse nel Cenacolo”.
Avevano seguito Gesù fin dalla Galilea, lo avevano accudito in tutti i suoi bisogni, come solo forse una donna sa fare; lo avevano ascoltato, si erano stupite delle guarigioni; loro stesse erano state guarite. Alcune “lo avevano seguito, pur stando a distanza, anche sotto la croce e poi al sepolcro, cercando di onorare la memoria di questo uomo che hanno amato. Queste donne sono le prime ad accogliere la novità della sua Risurrezione, quasi che l’amore possa anticipare la vita: vince la morte ed è per la vita”.
Questi discepoli di Emmaus, però, non hanno fatto tanto caso alla testimonianza delle donne, tanto che si erano allontanati delusi: ‘speravamo’ ma non è successo e allora cosa è venuto a fare Gesù? Gesù, però, non li abbandona, ricorda fra’ Mario: “Cammina con loro, pone loro delle domande e pian piano svela loro le scritture che parlavano di lui”. Ecco, allora, che “la prima indicazione, per incontrare Gesù risorto, è quella di riandare alle scritture, di ricordare i passi dei profeti, dei salmi, di Mosè che parlano di lui. Soprattutto, di riandare alle parole di Gesù”. Egli aveva detto più volte quello che gli sarebbe capitato: arrestato, avrebbe subito la passione per opera degli Scribi, dei Farisei, degli Anziani; sarebbe morto e poi sarebbe risorto e li avrebbe aspettati in Galilea. Ma loro si sono dimenticati di queste parole.
“Non solo, sottolinea mons. Vaccari: insieme al pane e al vino, durante l’ultima cena, Gesù aveva offerto il suo corpo e il suo sangue, parlando della passione che da lì a poco avrebbe patito e alla fine aveva detto: ‘Non berrò più questo calice con voi, lo berrò nel Regno di Dio’. Facendo capire che quel fare memoria dell’ultima cena era un modo per averlo presente”. Ecco che a quel punto il miracolo si compie: “il loro cuore arde e poi, durante il pasto, riconoscono finalmente Gesù proprio da quei gesti del pane e del vino, che significano il dono della sua vita per noi”. “Un percorso, spiega il vescovo, che viviamo tutte le volte in cui partecipiamo all’Eucaristia”.
La presenza di Gesù c’è fin dall’inizio; le Scritture proclamate parlano di lui, parlano di Dio, e la nostra vita che, magari, non è secondo i nostri desideri, “viene rilanciata, viene aperta al futuro da quelle promesse che Dio ha fatto al suo popolo e che attraverso Gesù continuano a essere fatte al Popolo di Dio che è la Chiesa. Il suo corpo e il suo sangue vengono donati a ciascuno di noi per fare comunione con lui e tra di noi”. “Dio non è quel Dio con la bacchetta magica che risolve tutti i nostri problemi. È un Dio con noi, un Dio che cammina insieme a noi… donando vita, donando forza. Questa è l’esperienza del Risorto che ciascuno di noi desidera fare e che fa, quando si mette in ascolto profondo, insieme come popolo, fino a lui Eucaristia, proprio come questi discepoli di Emmaus”.
Antonio Ricci