Il suo volto brillò come il sole

Domenica 5 marzo – II di Quaresima
(Gen 12,1-4; 2Tm 1,8-10; Mt 17,1-9)

Nella liturgia romana la seconda domenica di Quaresima è dedicata alla trasfigurazione del Signore: Gesù rivela ai discepoli la gloria del suo volto per prepararli a sostenere lo scandalo della sua persona trasfigurata dalle sofferenze.
1. Apparvero loro Mosè ed Elia. Durante la trasfigurazione Mosè ed Elia, i rappresentanti della legge e dei profeti, cioè di tutto il Primo Testamento, convergono verso Gesù, perché il Primo Testamento è un cerchio di figure attorno a un punto che rimane vuoto fino alla venuta del Messia promesso e atteso. Tutte le figure si realizzano in Gesù: Egli è il legislatore e colui che obbedisce, è il gran sacerdote e la vittima, è il servo sofferente e la sapienza, è la parola e il profeta perfetto.
2. È bello per noi essere qui. Gli apostoli sono estasiati: pur di non perdere la visione sarebbero disposti a costruire capanne di fortuna per i tre personaggi, mentre loro dormirebbero anche all’aperto. Ma prima di arrivare alla gloria bisogna compiere il cammino di sofferenza che precede la Pasqua. Anche sul monte dell’Ascensione i discepoli rimangono estasiati nel contemplare Gesù che sale al cielo, ma una voce li richiama: “Perché state qui a guardare il cielo?” Gesù ha compiuto la sua parte, ora tocca a voi continuare.
3. Ascoltatelo. A differenza della manifestazione avvenuta al momento del battesimo, durante la trasfigurazione la voce che viene da cielo aggiunge: “Ascoltatelo”. Mentre la cultura greca propone la contemplazione del bello, la religione ebraica è la religione dell’ascolto: “Ascolta Israele” è la preghiera che il devoto israelita recita tutti i giorni. La Parola di Dio è creativa ed efficace, e quando Dio parla, chiede solo di essere ascoltato. Pertanto chi proclama la Parola deve farlo con chiarezza e con autorità, senza aggiunte o puerili commenti, consapevole di proclamare la Parola di Qualcun altro, non la sua. Dal momento che nella proclamazione della Parola si rivelano le grandi opere di Dio per provocare la sua lode, la lingua deve comunicare, non velare, e quindi nelle nostre liturgie l’ascolto è momento essenziale: il vescovo per primo ascolta la Parola, non la proclama. L’ascolto, agevolato da una proclamazione chiara e comprensibile, è segno di rispetto verso Dio, è un omaggio che viene prima dei sacrifici, come suggerisce a questo proposito il saggio maestro Qoelet: “Bada ai tuoi passi quando ti rechi alla casa di Dio. Avvicìnati per ascoltare piuttosto che offrire sacrifici, come fanno gli stolti” (4,17). La Parola proclamata è rivolta a chi ascolta, non ai personaggi del passato; ciascuno deve sentirla attuale per sé, e se ascolta un rimprovero, lo deve applicare a se stesso, non ai personaggi di una volta oppure al vicino di banco. Nel terzo vangelo poi troviamo una raccomandazione un po’ strana: Gesù non dice badate a come parlate, ma “Fate attenzione a come ascoltate” (Lc 8,18).

† Alberto

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