Il maiale: “cattivo da vivo e buono da morto”

Si è svolto a Villafranca il convegno promosso dall’Associazione “Manfredo Giuliani”

Asciugatura di salami e salsicce in un bassorilievo di Benedetto Antelami nel Battistero di Parma (sec. XII)

Un proverbio medievale affermava: “L’agnello è buono da vivo e da morto. Il cane è buono da vivo e cattivo da morto. Il maiale è cattivo da vivo e buono da morto. Il lupo è cattivo da vivo e da morto”. Questo è stato uno dei tanti spunti che sabato 4 marzo i relatori del convegno sulla cultura del maiale organizzato a Villafranca dall’Associazione “Manfredo Giuliani” hanno lasciato al numeroso pubblico presente nella sala polifunzionale del Museo etnografico dedicato a Germano Cavalli.
Proprio richiamando il fondatore dell’Associazione il presidente Benelli, in apertura, ha sottolineato che un convegno sul maiale rientra in pieno nello spirito etnografico del Cavalli che, in un’epoca in cui la visione della storia era molto elitaria, seppe dar voce alla gente comune e raccogliere nel museo, ma anche nei numerosi volumi pubblicati dall’associazione, un mondo che sta via via scomparendo. Un mondo del quale il maiale è stato uno dei protagonisti.
Un animale già presente nell’antichità quando non vi era una netta distinzione tra maiale e cinghiale, un tempo in cui abitavano boschi e foreste. Poi il maiale inizia ad “avvicinarsi” all’uomo e negli statuti, come ha avuto modo di relazionare Paolo Lapi, si trovano norme sull’allevamento ma soprattutto norme che regolano come e dove tenere i maiali per evitare che, ad esempio, vadano nei castagneti e mangino le castagne, fonte di sostentamento.

Il pubblico intervenuto al convegno sul maiale organizzato a Villafranca dall’associazione “Manfredo Giuliani”

Questo progressivo avvicinamento del maiale è testimoniato, già nella seconda metà del Settecento, dalla costruzione degli “stabioli”, spazi ristretti (per favorire un rapido ingrassamento) vicino alle case dove ospitarlo; così diventa domestico a tutti gli effetti, ed è facile da allevare.
In questo contesto Riccardo Boggi ha raccontato, prendendo spunto dagli atti di un processo, una vicenda avvenuta a Groppoli nel corso dell’Ottocento.
Una madre che partorisce un bambino frutto di una relazione clandestina – e che, a detta sua, nasce già morto – decide di far sparire il cadavere in maniera particolare: lo seppellisce nello stabiolo del maiale certa che, nella notte, l’animale l’avrebbe mangiato. E così avviene, ma non del tutto: infatti il maiale si ciba del piccolo ma lascia intatta la testa che il mattino successivo sarà ritrovata appena fuori dalla stalla.
Anche Rossana Piccioli nel proprio intervento ha voluto dar testimonianza di questa “vicinanza” tra uomo e maiale raccontando un episodio accaduto in Normandia nel Trecento quando si assiste ad un vero e proprio precesso a un maiale.
All’epoca era tipico pensare ad una responsabilità morale anche degli animali tanto che, nel caso narrato, la scrofa accusata dell’uccisione di un bambino viene messa in carcere, le viene assegnato un avvocato aspettandosi la confessione dell’infanticidio.
Come ovvio la confessione non arriverà mai e la povera scrofa sarà giustiziata sul patibolo – al quale arriverà vestita da uomo – e il boia, prima di lasciarla morire dissanguata e bruciarla sul rogo, la torturerà con gli stessi supplizi che la stessa aveva provocato al bambino divorandogli un braccio e parte del viso.
Andrea Baldini, ricordando la propria infanzia, ha tratteggiato un affresco del sig. Giovanni, il “maslen” che veniva da Collecchio per la macellazione del maiale e che il padre era solito chiamare per l’abilità, oltre che nella macellazione della carne, nell’uccisione dell’animale con il “corador”, attrezzo con punta affilata che il macellaio andava ad inserire nel punto preciso del cuore della bestia per provocarne la morte.
Al termine, il prof. Spisni, docente universitario a Parma, ha guidato un percorso degustativo a base di salsiccia, salame e testa in cassetta, invitando il pubblico ad apprezzare il salume attraverso i cinque sensi, per gustare ancor di più le carni lavorate di quell’animale che “è cattivo da vivo ma buono da morto”.

Federico Orsini