
Il falò di San Geminiano si è proposto nella sua veste migliore

Inutile girarci intorno! Quella che abbiamo vissuto quest’anno nell’attesa e nell’offerta della consumazione dei riti del falò è stato come il ritorno ad una bella favola. Le incertezze dei tempi presenti sono come scivolate via e il copione è stato realizzato con un tempo, ognuno degli attori al suo posto, il vento, la pioggia, la gente e quegli inconvenienti che danno il senso della novità che caratterizza ogni appuntamento. Finalmente, abbiamo ritrovato la gioia di rivivere tutti i passaggi dell’evento, senza l’ansia di pericoli subdoli che impedissero di essere parte del rito di gruppo che è l’unico a dare il significato più concreto a tutta la vicenda. Calarsi nel momento, quindi, è stato un gesto istintivo e gustare, sul greto del Verde, quanto stava succedendo una gioia incontenibile, cullata nella speranza che potesse esprimersi nel modo migliore. Entrare nei gesti una specie di degustazione maniacale. La pira, immane, ingigantita dalla sua stessa ombra, anche se quest’anno finalmente contenuta; la folla ansante vogliosa dello spettacolo; la teoria dei fuochisti incontenibili nel desiderio di procedere; infine, la lunga processione e l’atto fatidico dell’accensione che ha dato il via alla liberazione di tutte le paure sofferte negli ultimi tempi. Quanto accaduto poi, oggi a poca importanza perché i social certamente offriranno anche a chi non c’era il valore dello spettacolo. A contare sono le sensazioni, rese più palpabili dal mormorio sommesso dei presenti, dai commenti esterrefatti dei non pochi ospiti richiamati dall’evento, dallo scalpitio dei canti di rito votati a cercare in tutti i modi i difetti che, non potendo mancare, devono ad ogni costo essere esaltati, anche se assenti, dallo spettacolo della folla eccitata dal bagliore delle fiamme, certo goduta, ovunque, dal calore che sprigionava dalla pira in una serata davvero da giorni della merla. Su tutto, la consapevolezza di essere tornati all’antico e a quelle gestualità che ci erano state come impedite per tanti timori, forse irrazionali ma certo inibenti. Così, in quel lungo attimo di contemplazione, la certezza che Pontremoli aveva potuto tornare a godere di una luce antica, quella che sprofonda le proprie radici in un passato lontano, ma possibile solo gestita dagli uomini e dal loro desiderio di essere comunità, costi quel che costi! Non a caso l’applauso finale esploso per il gruppo esultante, occultato dagli archi del ponte della Cresa, è stato il giusto riconoscimento per un impegno non quantificabile che solo un amore inconsunto permette di esprimere, in un gioco di complicità che non trovano giustificazione se non nella volontà di essere parte integrante di un disegno superiore imposto da una tradizione che, per quanto viene a rappresentare, merita qualsiasi sacrificio. (lb)