
Sessant’anni fa moriva lo scrittore piemontese. L’amore per la letteratura e per la sua terra

Dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento il romanzo neorealista fatto di memorie, di testimonianze dirette, di fatti nudi e crudi non entusiasma più, si ritiene che blocchi la creatività, lo slancio ad indagare oltre l’esistente. Si sente l’esigenza di trovare nuove e più espressive modalità del linguaggio e un nuovo rapporto con la realtà fatto di dolore e delusione: lo scrittore indaga su condizioni di smarrimento, di crisi interiore che più che da cause storiche (guerra fredda, paura della bomba atomica) scaturisce dalla condizione umana per se stessa, dal senso tragico del vivere. In questa atmosfera culturale si inserisce la narrativa di Beppe Fenoglio, nato ad Alba dove ha vissuto sempre fino alla morte il 18 febbraio 1963 a soli 41 anni lasciando moglie e una bambina, stroncato da tumore, consapevole, disse “bisogna essere disponibili”.
Un commento desolato ma anche rivelatore di un uomo schivo, asciutto come sono tanti piemontesi; fu fedele alla sua terra e alla sua gente. Fece studi classici, ebbe interesse profondo per la letteratura inglese, in alcune opere si notano calchi della costruzione sintattica inglese, ma anche lavorò sull’italiano creando una lingua che non imita passivamente il dialetto ma dà valore evocativo alla sua austera e tragica visione della vita. Una vita non da intellettuale, ma normale da impiegato in una ditta vinicola, coltivò l’amore alla letteratura e pubblicò le sue opere non secondo un ordine cronologico ma di contenuti.
Sono due i temi: la Resistenza e il suo mondo contadino delle Langhe. I racconti de I ventitrè giorni della città di Alba sono l’esordio, poi Una questione privata, Primavera di bellezza e Partigiano Johnny, incompiuto, parlano di partigiani ma non in toni celebrativi, ancor meno oleografici e ideologici, ma veri della Resistenza, evento fondatore della nostra repubblica a cui Fenoglio partecipò e ne comprese i molteplici aspetti, anche quelli colorati d’avventura e di sorriso insieme alla descrizione con rara virulenza del grande inganno operato dal regime prima e da Badoglio poi: di disprezzo e sdegno vibra la denuncia dello sfacelo in cui furono lasciati i soldati. Una raffinata scrittura riesce a contrapporre l’improvvisazione dei partigiani alla tracotanza dei fascisti.
Una questione privata, da cui i fratelli Paolo e Vittorio Taviani hanno fatto un film d’arte, romanzo perfetto sulla Resistenza secondo Italo Calvino, intreccia vicende d’amore impossibili con avvenimenti politici di alta responsabilità, con la solitudine e la volontà di superarla; analogo tormento troviamo ne “La casa in collina” di Pavese e nel “Giardino dei Finzi Contini” di Bassani.
Si parla di epica moderna in Fenoglio, che si confronta con l’epica antica omerica e virgiliana e il legame è proprio la Resistenza. Johnny protagonista anche di Primavera di bellezza si unisce ai partigiani e trova la morte che libera dal groviglio arbitrario di fatti e di esperienze
Altro grande tema dei romanzi di Fenoglio sono le sue Langhe, dall’interno rappresenta il mondo langarolo, vi entra dentro non con le suggestioni mitiche di Pavese, ma con linguaggio compatto, duro trascrive la violenza dei rapporti che nasce dalla miseria. Una materia regionale senza indugi cronachistici.
L’opera più rappresentativa è La malora: Agostino, il più forte e volenteroso di tre fratelli, va bracciante per pochi soldi, il padrone lo sfrutta come logora anche la propria moglie e i figli per una vita di malora. Qualcosa di positivo però riesce ad imparare: torna a casa, fatica sulla sua poca terra ma sa che riuscirà a farla rendere: è l’epica del contadino di ogni tempo. Romanzi fra i più alti di tutta la narrativa italiana del Novecento.
Maria Luisa Simoncelli