La storia delle donne in Europa. Dal Medioevo ai nostri giorni

La storia si è sempre occupata degli uomini e delle loro battaglie, ma di solito la storia delle donne è molto più interessante. Negli ultimi decenni si è in parte rimediato a questa lacuna pubblicando opere importanti e innovative della scienza storica. Gli Editori Laterza hanno pubblicato nel 1995 una monumentale “Storia delle donne” in cinque volumi sotto la direzione di Georges Duby e Michelle Pierrot, frutto del lavoro di ricerca di un’équipe di storici. Non è una storia delle donne in quanto tali, ma un’indagine a tutto campo per comprendere le loro relazioni, i ruoli, i poteri, i rapporti tra i sessi: dunque una storia di persone dall’antichità ai nostri giorni.
L’attenzione è sulla storia di lunga durata dell’Occidente atlantico e mediterraneo, non delle donne del mondo orientale (eroiche nella lotta in corso per conquistare libertà) e africano, escluse non per indifferenza ma per l’impossibilità di affrontare in un’opera una materia così imponente e complicata.
Nelle Edizioni Laterza nel 2003 è uscito il saggio “Le donne nella storia europea” di Gisela Bock dell’Università di Berlino “La storia delle donne in Europa. Dal Medioevo ai nostri giorni”; la storica, docente anche all’Istituto Universitario Europeo a Fiesole, si interessa di una pluralità di figure e di temi e presenta una molteplicità di punti di vista, narrati con rigore scientifico ma non di faticosa lettura. Dal contesto prendiamo le osservazioni sulla figura della casalinga, tale per libera scelta, ma spesso di necessità per mancanza di posti di lavoro esterno al “focolare” domestico o per priorità ad essere licenziata, come è successo nella crisi economica globale del 2008, nella pandemia in corso, nella guerra ucraina, nella difficoltà di conciliare lavoro e cura della famiglia. La casalinga è lavoratrice a tempo pieno e continuato, ma non accolto nei censimenti come “mestiere produttivo” e lei è registrata come “persona a carico”.
I movimenti delle donne portarono in Germania e Svezia nel 1901 a far riconoscere il lavoro domestico delle casalinghe (o quello delle figlie che andavano a servizio in casa di parenti) come “mestiere produttivo” e censite nella categoria dei “sostentatori”, ma fu eccezione, non regola estesa ad altri paesi. Rimane indiscutibile che le mansioni delle casalinghe contribuiscono al PIL (Prodotto Interno Lordo): la ricchezza dello Stato è data anche dai loro lavori di cura che rimediano alla scarsità di servizi sociali degli asili nido e della scuola per l‘infanzia non a caso detta “materna”, strutture per disabili e anziani.
Ci sono economisti che insistono per far inserire nel conteggio del PIL il lavoro domestico, che fa risparmiare notevolmente la spesa pubblica, ma le resistenze sono sempre forti. L’industria manifatturiera, specialmente nei paesi poveri, ottiene profitto anche dallo sfruttamento del lavoro a cottimo, “l’inferno del lavoro a domicilio”. La casalinga si è distinta e continua nei momenti più critici a procurarsi denaro o generi alimentari con la cosiddetta “economia degli espedienti”: affitto di posti-letto e di camere, sorveglianza di bambini, lavori di cucito, spigolatura dopo il raccolto, attività di lavandaia per altre famiglie, prima della meravigliosa invenzione della lavatrice.
A Milano lungo i Navigli, ristrutturati in spazi d’arte e di mercato del lusso, gli architetti hanno pensato bene di conservare i lavatoi come rispettoso monumento alla casalinga; anche i nostri torrenti lunigianesi hanno conosciuto la fatica del risciacquo dei panni e il dolore dei “geloni” alle mani nelle fredde acque invernali. Lenzuola e tovaglie venivano poi stese sui muretti degli orti del fiume, or ora ricordati in una raffinata pagina di prosa d’arte inviataci da un nostro abbonato da Bari. Regola prima dell’economia domestica: minimo sforzo col massimo rendimento.

Maria Luisa Simoncelli