“Annunciare il Vangelo: una necessità che mi si impone”

L’omelia di mons. Alberto Silvani al pontificale di S. Geminiano nel duomo di Pontremoli

Mons. Alberto Silvani in Concattedrale a Pontremoli

Il pontificale della sera della giornata di festa che Pontremoli dedica a S. Geminiano ha alternato, nel corso della celebrazione, elementi ricorrenti in questa occasione a riflessioni nuove, derivanti dal particolare momento che le parrocchie cittadine stanno vivendo. È stato il vescovo (che può essere tranquillamente definito “concittadino”, data l’intesa attività da lui svolta per tanti anni nella nostra città) Alberto Silvani, emerito di Volterra, a presiedere la celebrazione, attorniato da diversi sacerdoti provenienti da diverse zone della diocesi. Così come è stato lui stesso a sottolineare, all’inizio dell’omelia, che “non è la prima volta che come vescovo presiedo questa celebrazione di San Geminiano, ma lo faccio sempre volentieri” e ad esprimere la sua gratitudine “al vescovo Mario che mi ha invitato e mi ha dato l’incarico di portare il suo saluto ai fedeli e alle autorità”.
Poi un cenno alla nomina dei nuovi canonici – don Graziano Galeotti, don Bernardo Marovelli, don Pietro Pratolongo e don Giovanni Barbieri – e alla delega ricevuta dal vescovo fra’ Mario “ad accogliere i nuovi membri del Capitolo, di cui anch’io faccio parte dal 1987”. Una parte della celebrazione, questa, di cui daremo ampio resoconto nel prossimo numero. La riflessione sulla figura di S. Geminiano non poteva non partire dal riferimento alle novità pastorali degli ultimi mesi: la nomina del vescovo fra’ Mario lo scorso anno e l’avvio, nei giorni scorsi, dell’esperienza pastorale nelle parrocchie cittadine dell’équipe sacerdotale.

La statua di San Geminiano nel Duomo di Pontremoli

“In questo frangente di cambiamento, ha detto mons. Silvani, sarebbe molto bello, oltre che conveniente, riscoprire come preti e come laici la gioia di appartenere alle nostre parrocchie e al nostro presbiterio diocesano. Possiamo avere tante osservazioni da fare, forse anche con qualche recriminazione, e tante proposte di correzione da presentare” ma senza dimenticare che “la scelta del vescovo, come anche quella del parroco o dei parroci, non è oggetto di contrattazione se non nella preghiera. Si accoglie colui che viene inviato come un dono del Signore, con lui facciamo un tratto di strada insieme, senza dimenticare che c’è stato un prima e che ci sarà un dopo… Se ci fossero eventualmente miglioramenti da proporre, questi si faranno dall’interno, non mettendosi al di sopra su un piedistallo”. Come un singolo pezzo di carbone ardente, tolto dall’insieme della brace si spegne, “così chi si isola dalla sua comunità: all’inizio può anche essere brillante e apparire carismatico, ma poi fa fumo e si spegne, tra la commiserazione dei vicini e la derisione dei lontani”.
“L’opera sacerdotale del prete e del vescovo, ha ricordato il presule, è volta al radicarsi del Vangelo nella società degli uomini; a loro e alla loro opera sacramentale si deve il fatto che la comunione con il Signore entri nella vita vissuta delle comunità e dei singoli”. Il ministero sacerdotale ha una diretta ricaduta sulla comunità che il presbitero è chiamato a guidare. Per questo si può dire che “il sacramento dell’Ordine Sacro (come anche il Matrimonio) non trasforma la persona per se stessa, come avviene in chi riceve il Battesimo, ma trasforma per gli altri, è un carisma di servizio alla comunità… la santificazione personale passa attraverso la santificazione della comunità e il presbitero che santifica se stesso, santifica pure le persone a lui affidate, in uno scambio continuo”.
La scelta di dedicare tutta la vita al Ministero Sacro deve essere guidata dalla consapevolezza di corrispondere ad una chiamata del Signore; “di conseguenza il ministero del vescovo, come quello del parroco, si modella sul comportamento di Gesù e non su altri calcoli”. Da qui l’idea di una Chiesa che “adempie la missione ricevuta non quando ottiene consensi, incrementa la produttività, migliora i grafici o aumenta le percentuali, ma quando diventa significativa nella società per apparire ed essere ‘il sale della terra, la luce del mondo’ (Mt 5,13.14). In questo contesto, appare chiaro che il prete “non può essere presentato come un agente commerciale che deve cercare clienti per collocare un prodotto”. Fondamentale, perché il prete possa concorrere a santificare il popolo che gli è affidato, è “la testimonianza della vita. Essere preti non è un impiego burocratico a orario, con il cartellino da timbrare, ma il coinvolgimento di tutta la persona”. “Il presbitero, ha spiegato mons. Silvani, è l’uomo intermediario, non perché conosce tutto ed ha una soluzione a ogni problema (solo gli sciocchi hanno una risposta per ogni evenienza), ma perché nella notte attende la luce e insegna agli uomini come illuminare la loro vita con la Parola di Dio”.
La persona che esercita il ministero sacro, ha concluso, deve ricordare due cose: “essere prete è più importante che fare il prete” e “per esercitare il sacerdozio non basta parlare e agire da una posizione privilegiata presso Dio, è necessario essere congiunti strettamente con gli uomini senza appartenere ad alcuna famiglia”. Nello svolgere le due missioni di avvicinamento a Dio e di servizio fraterno, il prete (come anche il vescovo) deve ricordarsi che il suo servizio è transitorio: passano le persone, restano le comunità con la propria fisionomia, le proprie feste, le proprie tradizioni”.

Antonio Ricci