L’Almanacco Pontremolese dedicato alle parole del dialetto
Può bastare una parola per aprirti un mondo, anzi per dirla correttamente “a pè bastèr na paròla pr’avrirt un mund” perchè il tema dell’Almanacco Pontremolese 2023 è legato proprio a questo, a come basti un singolo vocabolo, specialmente un’espressione dialettale, per dare vita a riflessioni sulla memoria. Da qui l’idea di costruire l’Almanacco, attorno ad alcune parole del dialetto pontremolese dietro cui è possibile ritrovare una realtà nascosta della nostra storia recente, perchè, come scrive Luciano Bertocchi nella sua presentazione (non a caso in una doppia versione, in dialetto e in italiano) “nasce dal desiderio di ritrovare un mondo che, sebbene per molti appena abbandonato, è ancora dietro l’angolo e aspetta solo di essere riesumato proprio anche grazie a delle semplici parole che, in un modo o nell’altro, possiedono la chiave per aprire porte che da tempo pensavamo fossero inaccessibili”.
E a volte le parole possono essere veri e proprio personaggi come “Miun del Casotto”, ovvero Emilio Toma originario di Cavezzana Gordana, ricordato da Giuseppe Benelli. Miun (ovvero brontolone) era un vecchio burbero e scontroso che viveva nella strada del Casotto, quel tratto di strada che continuando da via Cavour è chiusa dall’imponente fortificazione della torre del XIII secolo. Vecchio brontolone che però negli anni della giovinezza era stato il gerente responsabile della testata giornalistica “Il proletario” nata a Pontremoli il primo maggio del 1922 “a cura degli anarchici dell’Alta Lunigiana”.
Ma, inevitabilmente, le parole dialettali riportano alle tradizioni enogastronomiche, e in particolare alla lavorazione del maiale come racconta Andrea Baldini parlando del “pork tra Parma e Puntremal”. Baldini ricorda di quando suo padre Luigi, era chiamato per due motivi: il primo per evitare la barbarica esecuzione del porco e secondo per la scelta e la preparazione delle parti, con Baldini padre che portava nella tradizione pontremolese la scuola parmense. E questa esperienza Baldini la racconta attraverso una giornata (“avevo otto o nove anni ed ero felicissimo di evitare una giornata di scuola”) dedicata a questo rito di “fare il porco”.
Sempre legata all’alimentazione è la parola “ort” che, come racconta Riccardo Boggi, era il cuore dell’economia e della famiglia. Ricordando, come esempio, il caso degli orti sul greto del Magra e del Verde, dove (citando Luigi Campolonghi) “gli industri popolani potevano ricavarne bellissimi orti, verdi di lattughe, di cavoli, di fagioli e più tardi di scarlatti pomodori quando questa pianta fu rivelata ai Pontremolesi. E niente liti se non con il Magra e il Verde, quando l’uno o l’altro spazzava via quel ricco minestrone di erbe”.  Boggi ricorda poi il caso di Bassone, quando l’orto era un’impresa famigliare. Sottolineando come ogni famiglia aveva alcuni apprezzamenti di terreno che coltivava ad orto. Oltre alla verdure per il sostentamento della famiglia si coltivavano molte varietà di piantine che venivano vendute al mercato di Pontremoli ma anche in altre piazze e nelle fiere primaverili del versante parmense. 
Altra parole simbolo è quella dell’osteria “Usteria”, un tempo riferimento naturale della vita di tutti i giorni come racconta Luciano Bertocchi. Perchè l’osteria, fino agli anni ‘60 del secolo scorso era una tappa obbligata per i cittadini, con diversa umanità che si alternava dal mattino (che vedeva spesso chi veniva dalle frazioni, con la necessità di “recuperare le forze” vista la lunga scarpinata) alla sera, con gli ultimi avventori spesso impegnati in interminabili partite a carte. E questo ha dato la possibilità a Bertocchi di riflettere su come erano diverse le serate d’una volta con una Pontremoli “notturna” ancora piena di vita.
Ma il dialetto è anche portatore di cultura e tradizione come ci ricorda Paolo Lapi nel raccontare il caso delle chiese di Pontremoli “l’alto numero di chiese trova la sua motivazione nel fatto che durante il Medioevo Pontremoli è stata ‘chiave’ e ‘porta’ delle comunicazioni tra il Nord Italia e la Toscana”. O, come sottolinea Natalino Benacci nel suo viaggio nelle grandi epidemie del passato, ha dato voce alla mano pietosa della carità della Misericordia che da secoli esercita la sua attività essendo una delle più antiche d’Italia (nata nel 1262). Un Museo conserva i documenti più significativi del passato del sodalizio.
Ma le parole dialettali possono divenire motore per la fantasia e così sono state scritte da Giulio Cesare Cipolletta tre piccole storie, partendo dagli innamorati della domenica (scritta con Maria Rita Franchi) con i loro sguardi che si incontrano durante la funzione della Santa Messa, passando al ladro della domenica che approfitta della confusione per esercitare la sua “non nobile” professione, per concludere con la storia di un bacio che viene catturato da una fotografia.                    
(Riccardo Sordi)