Era il 27 gennaio 1973. Due anni dopo si arrivò al trattato di pace di Parigi
La firma degli accordi di Pace a Parigi il 27 gennaio 1973 (foto: da Wikipedia)
Gli anni sessanta del secolo scorso per i paesi occidentali sono stati felici per il grande sviluppo economico e civile e per le grandi speranze concepite. Sul piano degli equilibri internazionali, e anche interni, il quadro è però pessimistico e contraddittorio. Il mondo è diviso in due contrapposti blocchi politici e militari: non si fanno guerra diretta perché, muniti di armi nucleari, nessuno si salverebbe, però “mettono lo zampino” in tante guerre locali.
La guerra lunga combattuta fra il 1964 e il 1975 in Vietnam segnò uno dei momenti più drammatici nel processo della decolonizzazione e dello scontro tra Stati Uniti e il gruppo comunista egemone di Russia e Cina, già divise ma unite nel dare sostegno al Vietnam del Nord, una Repubblica comunista guidata da Ho Chi -minh e nata dalla dissoluzione dell’impero coloniale francese in Indocina dopo la capitolazione della piazzaforte di Dien Bien Phu nel maggio 1954.
In quell’anno proprio gli accordi di Ginevra avevano diviso la parte orientale della lunga penisola Annam in repubblica del Vietnam del Nord con capitale Hanoi e Repubblica del Vietnam del Sud con capitale Saigon.
Manifestazioni di protesta e rifiuto di indossare la divisa portarono alla pace
Manifestazione pacifista contro la guerra in Vietnam davanti al Pentagono (da Wikipedia)
Prendono il via nei campus universitari le proteste del movimento del Sessantotto. Nel mondo della cultura, nel Congresso americano, soprattutto nella diffusione quotidiana di immagini delle violenze della guerra si alimenta la denuncia della insensata brutalità di ogni guerra, di quella guerra con soldati “vomitati dagli elicotteri”, impantanati nei campi di riso, caduti su qualche mina o in una trappola.
Grandi registi ce le hanno proposte in film di forte impegno critico, morale e psicologico, per tutti citiamo Apocalypse now di Coppola e Nato il 4 luglio di Oliver Stone. Grandi cantanti (Bruce Springteen, Edwin Starr, John Lenon..) diffusero canzoni di potente denuncia contro l’inutilità della guerra, contro lo stillicidio di tanti giovani che tornavano a casa morti o lacerati senza rimedio all’interno di sé: sono tutte parole come un urlo drammatico che dipinge rabbia e smarrimento. In prevalenza i soldati americani inviati in Vietnam (arrivarono a mezzo milione) erano poveri bianchi o neri, perché i ricchi grazie alla posizione di potere evitavano la guerra: i giornali scrissero di George W Busch che indossò sì la divisa militare ma rimase a fare la guardia aerea nel suo Texas.
Obiettivi e metodi della guerra del Vietnam
Soldati dell’esercito del Vietnam del Sud (da Wikipedia)
Dopo la partenza dei francesi il Vietnam si era diviso in due Repubbliche, a Nord quella comunista di Ho Chi-minh, al Sud il regime quasi dittatoriale appoggiato dagli Usa, contro il quale si sviluppò la guerriglia dei vietcong. Preoccupati dalla prospettiva di un’Indocina tutta comunista, gli USA già con la presidenza Kennedy avevano inviato al Sud consiglieri militari sempre più numerosi; con Johnson si passò ai bombardamenti in continua crescita (escalation), ma non riuscirono a domare la lotta dei vietcong appoggiati dai contadini, la repubblica nordvietnamita resistette aiutata da Cina e Russia. Le zone controllate dai vietcong avevano nel Sud disposizione a macchia di leopardo, uomini e rifornimenti giungevano lungo “il sentiero di Ho Chi-minh” nel fitto della giungla e da Cambogia e Laos.
I marines statunitensi si trovarono di fronte ad un nemico inafferrabile, non in campo aperto ma che si muoveva come un pesce nell’acqua per usare la definizione data da Mao, il presidente cinese. La situazione per gli americani in Vietnam divenne molto critica per fattori tecnici ma soprattutto di disagio morale. I massmedia divulgavano immagini terribili, una bimba nuda in fuga sotto la pioggia fu una visione sconvolgente per larghi settori di opinione pubblica, la guerra era considerata ingiusta, una sporca guerra, contraria alla storia della democrazia americana, con costi economici e ancor più umani non più sostenibili. Impressione fortissima fece nel gennaio 1968 “l’offensiva del Tet”, il capodanno lunare buddista, quando i vietcong a sorpresa attaccarono Saigon e tante altre città: il teatro di guerra non era più soltanto rurale. Americani e sudvietnamiti reagirono con furia, i comunisti furono brutali come non mai prima. Johnson fece sospendere i bombardamenti, il nuovo presidente Nixon avviò negoziati ufficiali che portarono all’armistizio di 50 anni fa.
Manifestazione pacifista nel 1967 contro la guerra del Vietnam (Foto: Department of the Army / Wikipedia)
Scriviamo della orribile guerra perché il prossimo 27 gennaio saranno passati 50 anni dai primi accordi per porre fine formalmente all’intervento americano nella guerra che da anni si era scatenata. I negoziatori furono Henry Kissinger per gli USA e Le Duc Tho per il Nordvietnam: le parti capiscono che ritardare le trattative non portava nessun vantaggio.
Chiara è l’analisi fatta dallo stesso Kissinger nel suo saggio Diplomazia della Restaurazione: il conflitto stava logorando credibilità, affidabilità, coesione interna degli Stati Uniti ormai dilaniati dalla protesta e dall’angoscia, da spiacevoli violenze e perdita di fiducia. Mancò loro una strategia capace di assicurare la vittoria in una guerra che per la prima volta veniva “letteralmente servita a domicilio per televisione” con tutti i suoi orrori. L’accordo internazionale stabiliva il rispetto dei diritti fondamentali del popolo vietnamita, l’autodeterminazione dei vietnamiti del Sud, cessazione delle attività e il ritiro di tutte le forze americane entro 60 giorni, la riunione pacifica delle due Repubbliche indocinesi e l’impegno americano alla ricostruzione del Vietnam del Nord.
Ci fu scambio di prigionieri, però Kissinger, consigliere speciale del presidente Nixon, per dare condizioni migliori ai vietnamiti del sud prende tempo, fa nuove richieste. Riprendono i combattimenti sul Nord: sotto la pressione aerea Hanoi torna a trattare e il 27 gennaio 1973 è firmato un accordo, che non sancisce vittoria, ma importante è l’avvio della riunificazione sotto potere comunista e ancor più il ritiro graduale delle truppe americane. Quella terra dopo un secolo di dominazione francese e poi americana tornava indipendente. L’accordo riconosce operazione legittima tenere nel Sud un contingente di 140mila soldati del Nord a sostegno dei vietcong guerriglieri comunisti organizzati nel “governo rivoluzionario provvisorio”
La guerra continuò per altri due anni, allargata anche a Cambogia e Laos, per impedire che procurassero rifornimenti ai comunisti. Il 30 aprile 1975 a Parigi fu firmata la pace, dopo che i vietnamiti del Nord e i vietcong erano entrati a Saigon, oggi chiamata Ho Chi-minh City; i membri del governo e gli ultimi consiglieri militari e il personale dell’ambasciata Usa fuggono in gran fretta: è la prima grave sconfitta nella storia degli Stati Uniti. In Cambogia i fanatici Kmer rossi conquistano la capitale Phnom Pen e anche il Laos ha un governo comunista.