Da Elisabetta II a Carlo III: il Regno Unito alla prova del cambio di sovrano

La morte di Elisabetta II riporta in primo piano luci e ombre della forma di governo britannica

Città del Vaticano, marzo 2014. Papa Francesco riceve in udienza la regina Elisabetta II e il principe Filippo. (Foto Siciliani-Gennari/SIR)

A giudicare da quanto sta avvenendo in Gran Bretagna, si potrebbe con tranquillità affermare che la macchina del tempo esiste: è l’effetto a cascata che la morte della regina Elisabetta II – avvenuta l’8 settembre – sta provocando: un salto indietro di qualche secolo attenuato, in parte, dall’uso di mezzi che a quei tempi ancora non esistevano.
Ma basterebbe sostituire le Rolls Royce e le Range Rover con cavalli e carrozze per ricreare un ambiente del tutto estraneo ai tempi che stiamo vivendo. D’altronde, è risaputo che uno degli elementi che contribuiscono a spiegare la longevità della monarchia britannica è proprio il fascino “dei tempi andati”, quando la corte del re/regina rappresentava un potere non limitato alle immagini folcloristiche da cartolina.
Nessuno è in grado di sapere se e quanto la morte della sovrana che ha percorso da protagonista della vita britannica 70 anni distribuiti in grande maggioranza nel XX secolo, ma con un forte “assaggio” di XXI, potrà incidere sulla fine della monarchia e quindi del Regno Unito. Certo è che l’eterno erede al trono, giunto ad essere incoronato re Carlo III alla soglia dei 74 anni, difficilmente potrà godere di sonni tranquilli circa la sorte della casa reale né potrà godere di ampie simpatie da parte dei tabloid più aggressivi, sempre pronti a cogliere le tante sbavature nei comportamenti dei personaggi più significativi della famiglia reale.
Di fatto, con il passaggio dalla regina al re per il Regno Unito cambieranno molto di più di tre parole, come avviene per l’inno nazionale. Quello che riesce difficile capire è che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, è proprio l’essere fuori dalla mischia – sociale e soprattutto politica: il re/la regina regna ma non governa – una delle caratteristiche capaci di rendere ancora accettabile una istituzione altrimenti fuori dal tempo.

Re Carlo III: sale al trono del Regno Unito a quasi 74 anni (Foto: ANSA/Sir)

Perché è vero che sono ancora un buon numero gli Stati retti da monarchie, ma nel caso del Regno Unito stiamo parlando di un Paese all’avanguardia sotto tutti i punti di vista, che ha saputo mutare pelle sotto tanti aspetti tranne quello istituzionale, che ha le sue radici, sia pure con importanti modifiche nel corso degli anni, nel 1215, l’anno della Magna Charta.
È il caso di dire che, cedendo ogni potere in campo politico – ricordiamo che l’annuale discorso per l’inaugurazione del Parlamento è letto dal sovrano ma redatto dal governo – la monarchia britannica ha potuto ritagliarsi un ruolo di rappresentanza che ne ha salvaguardato l’esistenza, evitando di essere coinvolta in modo diretto nelle tante azioni poco lodevoli compiute dai governi e dagli eserciti inglesi in giro per il mondo. Senza dimenticare quelle lodevoli, alle quali la Famiglia Reale si è unita, come quando, con Londra bombardata da Hitler, rimase vicino alla sua gente, condividendone i rischi. Una lezione che il nostro re non studiò abbastanza bene, pagandone le conseguenze con una cacciata poco onorevole.
Decisamente fuori dal folclore è il dibattito sulla sorte del Regno Unito e del Commonwealth: le spinte indipendentiste della Scozia (per non parlare dei problemi legati all’Irlanda del Nord) ne rappresentano solo un aspetto. Dovrà darsi subito da fare re Carlo per dare continuità a quel simbolo di unità rappresentato da sua madre con grande discrezione ma con buoni risultati; così come dovrà dimostrare grandi capacità politiche di mediazione la nuova premier, Liz Truss, che il caso ha voluto giungesse alla guida della nazione poco prima della proclamazione del nuovo sovrano, se vorrà riuscire nell’intento di tenere sotto la stessa bandiera le quattro nazioni che formano il Regno Unito.
Altro discorso è quello che riguarda il Commonwealth, l’organismo internazionale che comprende 56 Paesi indipendenti ma quasi tutti ex colonie dell’Impero britannico: di 14 di essi, non di poco conto se si pensa che tra questi ci sono Australia, Canada e Nuova Zelanda, il sovrano inglese è ancora capo dello Stato. Un organismo costituito per stabilire rapporti commerciali privilegiati, che da un indebolimento della monarchia potrebbe ricevere una spinta alla disgregazione e, quindi, alla fine di una condizione così favorevole al Regno Unito.
La spinta al cambio di forma di governo, da monarchia costituzionale a repubblica, potrebbe diffondersi per contagio e ciò porterebbe ad una modifica della situazione attuale non di poco conto. Elisabetta aveva ben presenti questi rischi ed ha usato tutta la sua forza di persuasione morale per mantenere lo status quo. Ma le ferite lasciate dal periodo coloniale e schiavista sono ancora ben lungi dall’essere dimenticate in molti di quei Paesi e la voglia di rivincita potrebbe prendere al volo l’occasione offerta da questo “cambio della guardia”.
Questi e tanti altri problemi dovrebbero spingere il Regno Unito a guardare in faccia la realtà di un’epoca del tutto cambiata rispetto ai riti immutabili che si stanno compiendo in questi giorni; un’epoca che non va più al ritmo dei cavalli ma alla velocità delle comunicazioni mediate da strumenti elettronici ed ha reso il mondo più piccolo ma anche impossibile da governare con il solo fascino espresso da una corona, sia pure impreziosita da un diamante dal valore inestimabile.

Antonio Ricci