Fra il 1941 e il 1943 i nostri militari attraversarono queste pianure, prima nell’invasione poi in ritirata
Quella che definiamo da sempre “la ritirata di Russia” avvenne nelle immense distese al confine tra la Russia e l ’Ucraina, le stesse che oggi vediamo nel dramma senza fine della guerra. Nell’estate 1941 le tre divisioni itailane che componevano lo CSIR, inquadrate nell’11.ma armata tedesca nell’Operazione Barbarossa lanciata da Hitler contro l’Unione Sovietica, si erano attestate sul fronte orientale, prima lungo il fiume Dnestr (che oggi scorre tra Moldavia e Ucraina) per poi spingersi sempre più ad est fino ad attraversare il fiume Dnepr e raggiungere la zona di Stalino (l’attuale Doneck, nel centro del Paese) dove fu installata la base operativa delle nostre truppe che per tutto l’inverno sostennero ripetuti combattimenti ingaggiati dai sovietici nel tentativo di respingere gli occupanti.
Il 1942 vide poi aumentare lo sforzo italiano nella campagna sul fronte orientale: il Corpo di Spedizione venne riorganizzato nell’Armata Italiana in Russia (ARMIR) e nuovi uomini e mezzi attraversarono le pianure ucraine fino ad arrivare al Don con la “linea di contatto” che si era attestata a Stalingrado. Il resto è storia ben nota: prima la vittoria dell’Armata Rossa nella battaglia attorno alla città intitolata a Stalin (oggi la russa Volgograd), poi l’offensiva delle truppe sovietiche e lo sfondamento del fronte alla metà del gennaio 1943. Qui inizia la ritirata dal Don: da Rossos, sede del comando alpino, il ripiegamento verso nord ovest di 70mila militari delle divisioni Tridentina, Vicenza, Cuneense e Julia nel pieno dell’inverno russo con i contorni drammatici costiuiti da migliaia di morti e di continui scontri con il nemico.
Sono centinaia di chilometri nella neve e nel gelo delle sterminate pianure russe al confine con l’Ucraina centrale, quelle stesse dove sono tornati a sparare i cannoni e a morire militari e civili. Settantanove anni fa la ritirata si concluse nei giorni a cavallo tra gennaio e febbraio; il 26 gennaio c’era stato l’ultimo atto, la battaglia di Nikolaevka che aprì la strada alla salvezza verso Sebekino, nei pressi di Belgorod, città russa oggi ad una decina di chilometri dal confine ucraino.
(p. biss.)