Il Comune alle donne. Le dodici sindache del 1946

Ci sono pagine di storia che hanno cambiato la nostra società. Una di queste è senza dubbio quella scritta nel 1946, un anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, due anni prima dell’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana. Nella primavera di quell’anno, infatti, nella maggioranza dei Comuni italiani si tennero le prime elezioni libere dopo la dittatura fascista e in quell’occasione, per la prima volta, le donne poterono esprimere il proprio voto e candidarsi a ricoprire cariche pubbliche. Una vera e propria rivoluzione, alla quale l’Italia arrivò non del tutto preparata: troppo vicina la fine della guerra, troppo grandi i problemi da risolvere, città e paesi da ricostruire, servizi da riorganizzare, il lavoro che non c’era, una povertà diffusa. Eppure a quell’appuntamento le donne italiane parteciparono in massa e, nonostante le enormi difficoltà, un buon numero di loro entrarono nei consigli comunali e dodici riuscirono addirittura ad essere elette sindache.
Ha il merito di svelare quella pagina di storia, un po’ troppo trascurata, Patrizia Gabrielli, docente all’Università di Siena, nel libro “Il Comune delle donne. Le dodici sindache del 1946” (Affinità elettive, 151 pagg, 16 euro) che, dopo aver accennato alle vicende che portarono finalmente anche in Italia le donne a poter esercitare il diritto di voto attivo (recarsi alle urne ed esprimere la propria preferenza) e, soprattutto, passivo (cioè candidarsi a ricoprire una carica pubblica), esamina la situazione sociale e politica di quei mesi, all’immediata vigilia del referendum che, il 2 giugno 1946, avrebbe sancito che “l’Italia è Repubblica”. Finita la seconda guerra mondiale subito dopo la Liberazione le prime istituzioni erano state nominate dai Comitati di Liberazione Nazionale in attesa di poter svolgere elezioni libere e a suffragio davvero universale.
La tornata amministrativa del 1946 si svolse in due periodi distinti: dal 10 marzo al 7 aprile in poco meno di seimila Comuni, mentre nei restanti i Consigli Comunali vennero eletti fra il 6 ottobre e il 24 novembre. Patrizia Gabrielli tratteggia con efficacia la realtà di quell’anno così importante per la nostra società, un panorama nel quale il ruolo della donna è centrale. Non si potevano certo cancellare come se nulla fosse anni di lavoro in fabbrica in sostituzione degli uomini impegnati a combattere al fronte, in montagna o reclusi nei campi di prigionia; né il lavoro nelle campagne e neppure tutte le decisioni assunte in prima persona. Un ruolo determinante nell’affermare la consapevolezza dell’importanza della partecipazione al voto e alle liste per le elezioni amministrative la ebbero i movimenti politici femminili, ad iniziare dall’Udi (Unione donne italiane) e dal Cif (Centro italiano femminile) che, nonostante il poco tempo a disposizione (il voto passivo venne riconosciuto alle donne italiane solo con un decreto del 10 marzo 1946!), svolsero un’attività intensa e il più possibile capillare.
Se spesso si ricordano le ventuno donne elette nell’Assemblea Costituente, è più raro che si valutino significati e risultati delle candidature femminili nelle realtà comunali. Alla fine del 1946 nei Consigli Comunali siedevano oltre duemila donne e dodici vennero poi elette sindache dalle assemblee dei Comuni. Almeno dodici: “ma l’elenco con molta probabilità non è completo” ammette l’autrice. Perché quella pagina di storia, sia pure così importante, è stata girata forse con un po’ troppa fretta.

Paolo Bissoli