
Si è conclusa con la firma della “Carta di Firenze” la settimana di incontro tra i sindaci e i vescovi. “Una sola famiglia umana, con la stessa dignità, libertà e diritti”

“Un’unica umanità, una sola famiglia umana, con la stessa dignità, libertà e diritti”. Questo è il concetto ribadito con forza nel documento conclusivo – la “Carta di Firenze” – dell’incontro che si è tenuto la settimana scorsa nel capoluogo toscano tra sindaci e vescovi dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Quel mare che, in un futuro si spera non lontano, potrebbe tornare ad essere chiamato “mare nostrum”, non di un Paese che se ne impossessi e lo dichiari tale, ma “di tutti”, un bene che a tutti appartiene e di cui tutti possano andare fieri. Certo, siamo onesti, di pronunciamenti di quel tipo sono lastricate le vie delle buone intenzioni, quanto alla loro realizzazione è tutto un altro paio di maniche.
Eppure, anche ciò che sta avvenendo in Ucraina in questi giorni spinge a far sì che le buone intenzioni diventino fatti concreti e non restino confinati nel regno di Utopia. Del significato particolare – legato alla memoria di La Pira – di un incontro di pace a Firenze si è giù parlato a lungo, ma questo meeting, giunto in un momento reso così difficile dall’aggressione perpetrata dalla Russia nei confronti dell’Ucraina, sembra proprio una intuizione profetica di cui il mondo ha tanto bisogno.
Ecco, allora, che diversi passaggi del documento, se presi come impegno per tutti gli operatori di pace, assumono un significato più concreto. Prima di tutto perché la Carta di Firenze è il frutto di colloqui tra rappresentanti della società civile e loro omologhi in campo religioso; persone e figure istituzionali che conoscono i problemi così come le attese delle popolazioni di cui sono posti alla guida e possono indicare percorsi concreti per giungere ad un miglioramento significativo della situazione in quell’area. Un fatto importante perché potrebbe essere di esempio per tante altre zone del mondo, segnate a loro volta da forti contrasti.
Il card.Bassetti: “La nostra sfida per il futuro”
“Costruire ponti tra le genti del Mediterraneo, unire ciò che è stato diviso per secoli”: è l’appello lanciato dal card. Bassetti al termine dell’incontro. Il presidente della Cei ha presieduto la S. Messa di chiusura in Santa Croce dato il dolore al ginocchio che ha impedito a Papa Francesco di partecipare. Definita la Carta di Firenze “un raggio di luce nell’ora più buia”, ha poi invitato a divulgarla e incarnarla nella vita auspicando che il Mediterraneo, “lo spazio geografico in cui il Figlio di Dio ha deciso di nascere e dove il suo Vangelo ha compiuto i primi passi”, possa “diventare ‘cassa di risonanza di questo messaggio di fraternità”.
“Possano i popoli del Mediterraneo essere testimoni per il mondo intero di una pace possibile, che parte dal cuore convertito al Vangelo e produce scelte concrete per il bene di tutti”.

Ecco, allora, che anche le dichiarazioni del card. Bassetti – “consegnando alla storia queste giornate, traiamo un impegno a proseguire in un processo, non semplicemente ideale, di fratellanza e di conoscenza delle diversità” – e del sindaco Nardella – “una conquista storica, un punto di arrivo e di partenza. Perché nostro desiderio non è solo portare questa dichiarazione al Santo Padre, ma lo vogliamo portare ai leader internazionali, ai capi di stato e di governo” – vanno nel senso della conferma di una volontà di passare dalle parole ai fatti che fa ben sperare per il futuro dell’umanità, non solo di quella parte che vive sulle rive del Mediterraneo.
Ecco alcuni passaggi significativi. “Il Mediterraneo non può e non vuole essere luogo di conflitto”: di qui la necessità di “porre la persona umana al centro dell’agenda internazionale perseguendo la pace, proteggendo il pianeta, garantendo prosperità, promuovendo il rispetto e la dignità dei diritti fondamentali di ogni individuo, anche attraverso la promozione di obiettivi di sviluppo sostenibile”.

Tra le sfide da affrontare, vengono citati “il cambiamento climatico, le politiche migratorie (che devono offrire progetti di inclusione culturale, religiosa, sociale ed economica), i conflitti e la povertà”. Poi l’impegno a “sviluppare maggiori opportunità di dialogo e di incontro costruttivo tra le diverse tradizioni culturali e religiose presenti nelle nostre comunità”. Particolarmente significativa l’attenzione alla crescita di una cultura condivisa nei giovani. Da qui “la necessità di formare i giovani, auspicando la creazione di una Università del Mediterraneo”. A questo proposito, il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, ha definito molto interessante “l’avvio di una proposta di ‘Erasmus’ del Mediterraneo, per creare una sensibilità condivisa anche tra i giovani dei Paesi che su di esso si affacciano, favorendo in tal modo il formarsi di una coscienza mediterranea utile a promuovere il dialogo tra mondi culturali vicini dal punto di vista geografico ma culturalmente anche lontani”.
Per il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, “Firenze è stata una scuola di dialogo tra esponenti religiosi e civili di diverse idee e sensibilità. In questi giorni abbiamo imparato molto relativamente al dialogo, all’ascolto, alla convivenza; sono questi gli unici strumenti per risolvere i problemi del mondo, non certo la scelta militare”.
Concetti ribaditi anche dai sindaci.
Quello di Atene, Kostas Bakoyannis: “Dobbiamo difendere l’unica e sola verità che da millenni i popoli che abitano il Mediterraneo difendono: l’aver continuato a stare in contatto fra loro”.
“Gerusalemme – ha affermato Moshe Lion – è nel cuore di tutti i popoli. Siamo impegnati a difendere e a portare la pace in tutto il mondo, nel pieno rispetto di tutte le differenze che ci sono fra gli uomini”. E, infine, Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul: “Dio protegge chi difende il bene, e non importa a quale religione appartiene. Per questo è fondamentale lavorare per il bene dell’umanità, per la pace. Allontaniamoci dall’arroganza”.
Antonio Ricci