La Giornata Mondiale posta in secondo piano da un Paese distratto da preoccupazioni e polemiche. Papa Francesco: “Rimboccarsi le maniche per costruire la pace”
La 50.ma Giornata Mondiale della Pace non ha avuto grande risonanza anche se il mondo, forse oggi più che mai, ha bisogno di profeti di pace e di speranza. L’interesse del Paese va alla ripresa dei contagi, alle polemiche su green pass, alla elezione del presidente della Repubblica. Si susseguono discussioni a non finire con dibattiti asfittici e, ormai, stucchevoli.
Della Giornata Mondiale della Pace poco, invece, si è parlato. Doveva essere preceduta dalla 54.ma Marcia della Pace, promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, dall’Azione Cattolica, da Caritas Italiana e da Pax Christi. Per la seconda volta, però, è stata sostituita da una veglia di preghiera e di riflessione, quest’anno nella cattedrale di Savona. La sera del 31, alle 18, si sono uditi 21 rintocchi di campana; ad ogni rintocco veniva proclamata una lettera dell’alfabeto per ricordare tutti i morti di tutte le guerre.
Tante le personalità presenti: dal vescovo di Savona a don Ciotti, al prof. Carlo Revelli, a mons. Luigi Bettazzi, presidente emerito di Pax Christi, a mons. Luigi Renna, vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali, lavoro, giustizia e pace, all’arcivescovo di Genova.
L’omelia della messa è stata affidata a mons. Bettazzi che, dall’alto dei suoi 98 anni, dopo aver ricordato la sua partecipazione a tutte le Marce della Pace, ha esortato: “Dobbiamo ritrovare il valore del ‘noi’ in un contesto in cui sembra sempre ancora prevalere la parola ‘io’”.
La sintonia con Papa Francesco sulla “globalizzazione dell’indifferenza” è evidente. Ai rintocchi di campana di Savona ha risposto, la mattina del 1° gennaio, la Comunità di Sant’Egidio, riunita in Piazza San Pietro per la recita dell’Angelus, esponendo cartelli con i nomi dei Paesi e delle regioni del mondo in cui sono in corso conflitti e violenze. Il Papa non ha usato mezzi termini: “Non serve abbattersi e lamentarsi, ma rimboccarsi le maniche per costruire la pace”.
Mentre siamo ingarbugliati nei problemi, reali, della pandemia, il mondo e soprattutto gli affaristi vanno avanti. Anche se non se ne parla, le guerre ancora imperversano nel mondo; anzi, nel 2020 se ne sono aggiunte due. Sono 22 i Paesi in conflitto, secondo il rapporto Caritas. E molti dei problemi che affliggono il nostro Paese hanno radici geograficamente lontane ma con effetti drammaticamente vicini.
Quando il Papa parla di rimboccarsi le maniche lo fa non perché sia un illuso ma perché è estremamente realista. La sua idea è quella della pace integrale, di tutta la persona, di ogni persona. Perché quello che succede in Africa o in Amazzonia ha riflessi non solo sul mio Paese, ma anche sulla mia economia personale e familiare.
“Ancora oggi, il cammino della pace, che S. Paolo VI ha chiamato col nuovo nome di sviluppo integrale, rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque, della famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa. Nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti”, mentre avanzano le malattie di proporzioni pandemiche, il cambiamento climatico e il degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete nel nome di un modello economico basato sull’individualismo.
Papa Francesco propone tre vie per la costruzione di una pace duratura: il dialogo tra le generazioni, l’educazione, il lavoro. L’attuale crisi sanitaria ha amplificato per tutti il senso della solitudine e il ripiegamento su se stessi. Alle solitudini degli anziani si accompagnano nei giovani il senso di impotenza e la mancanza di un’idea condivisa di futuro. Da un lato, i giovani hanno bisogno dell’esperienza esistenziale, sapienziale e spirituale degli anziani; dall’altro, gli anziani necessitano del sostegno, dell’affetto, della creatività e del dinamismo dei giovani.
“Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale e non solo in Italia, il bilancio per l’istruzione e l’educazione, considerate spese piuttosto che investimenti. Le spese militari, invece, sono aumentate, superando il livello registrato al termine della ‘guerra fredda’. “Auspico che all’investimento sull’educazione si accompagni un più consistente impegno per promuovere la cultura della cura. Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media”. Il lavoro è un fattore indispensabile per costruire e preservare la pace.
“Esso è espressione di sé e dei propri doni, ma anche impegno, fatica, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno. In questa prospettiva, marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello… È più che mai urgente promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative decenti e dignitose, orientate al bene comune e alla salvaguardia del creato. Occorre assicurare e sostenere la libertà delle iniziative imprenditoriali e, nello stesso tempo, far crescere una rinnovata responsabilità sociale perché il profitto non sia l’unico criterio-guida”.
Nel Messaggio del Papa non mancano gli stimoli per la riflessione e non mancano neppure le ragioni per “rimboccarsi le maniche”.
Giovanni Barbieri