È sul campanile della piccola comunità del guinadese, è datata 1375 e si aggiunge al repertorio del fonditore attivo nel XIV secolo che la realizzò per la chiesetta di Campiglia nei pressi di Cervara
A Navola San Lorenzo, sul campanile della chiesa parrocchiale, una campana del 1375 testimonia quanto nei secoli passati quest’area nell’alta valle del Verde avesse un’importanza del tutto particolare nel territorio appenninico. Per gli studi storici di ieri e di oggi come per i censimenti più recenti, la presenza di questo manufatto in bronzo è, di fatto, un inedito: segnalato in poche righe da don Edoardo Borrotti nell’indagine che il sacerdote aveva realizzato mezzo secolo fa, è stato dimenticato un po’ da tutti tranne che da alcuni abitanti del paese.
Altre campane del Trecento: a San Cristoforo di Gordana
e in San Francesco a PontremoliSono altre tre le campane note fino ad oggi nel territorio di Pontremoli che, come quella di Navola San Lorenzo, risalgono al XIV secolo classificandosi come le più antiche ancora esistenti. Due si trovano sul campanile a vela della chiesa di San Cristoforo di Gordana, mentre la terza è nel capoluogo, patrimonio della chiesa di San Francesco, parrocchiale dei Santi Giovanni e Colombano.
Nel primo caso era stato lo storico Manfredo Giuliani, in un saggio del 1923, a segnalare la presenza dei due antichi bronzi, definiti “le più antiche campane del Pontremolese”, ma di manufatti locali e fonditori si sono occupati anche Pietro Bologna (1898) ed Enrico Lazzeroni (1940), senza dimenticare le notizie – sempre da ponderare con molta attenzione – scritte da Bernardino Campi sul finire del Seicento. Le due campane di San Cristoforo, là dove un antico itinerario medievale attraversava con un guado il torrente Gordana, risalgono addirittura al 1303 e recano la stessa epigrafe: “MCCCIII NE MENTES LEDANT FANTASMATA CUNCTA RECEDANT” a sottolineare il valore apotropaico dei due bronzi deputati a tenere lontani gli spiriti maligni.
I due manufatti non recano il nome dell’autore, tuttavia sulla base di analogie nel testo delle iscrizioni è stato ipotizzato di riferirli alla produzione di Ilario da Parma o comunque ad un gruppo di fonditori parmensi.
Ilario, fonditore chiamato per la realizzazione di campane destinate a chiese di particolare rilevanza sia a Parma che a Piacenza, fu comunque l’artigiano che nel 1311 realizzò quella per la chiesa di San Francesco a Pontremoli; si tratterebbe, tra l’altro, dell’unico manufatto giunto fino a noi tra quelli realizzati da questo prolifico fonditore.
Anche in questo caso è interessante l’epigrafe divisa su due righe, l’una sulla calotta e l’altra in prossimità del bordo, così interpretata nell’Ottocento dall’archivista e storiografo parmense Enrico Scarabelli Zunti: “IN NO(M)I(N)E D(OMI)NI AME(N) ILARIUS DE PARMA ME FECIT / MCCCXI P(ER) VOCCIIS HOC SONU(M) FUGITUR DIE MALIGNUM”. Iscrizione che sottolinea di nuovo la capacità del suono delle campane di tenere lontano il male. (p. biss.)
“Più volte con gli amici siamo saliti sul campanile la domenica per suonare le campane prima della Messa – spiega infatti Albino Cabrelli, nostro abbonato che vive nei dintorni di Parigi – ma quella campana ha un suono particolare che non si accorda con le altre tre e quindi non si toccava e per noi ragazzi era davvero di poco interesse. Oggi, pensando che è stata testimone di quasi 700 anni di storia, la guardo con occhi differenti”.
La campana è rotta: per questo il suo suono non si accorda con le altre tre del “concerto”. Pur compromessa dalla profonda venatura che corre lungo il cono di bronzo, è un reperto di grande interesse; nella parte alta, in caratteri gotici consumati dall’ossido e dalle intemperie di secoli, con facilità si legge la data “MCCCXXXXXXXV”. Più difficile è decifrare il resto dell’iscrizione; tuttavia, ad una attenta osservazione, essa ci svela il nome del suo autore: “IOHANNES ME FECIT”.
La data ci informa che la campana è stata fusa nel 1375 da un Giovanni, evidentemente abile artigiano al quale tuttavia l’opera era stata commissionata non per la chiesa di San Lorenzo ma per la non lontana chiesetta di San Pietro di Campiglia, località tra i boschi nei pressi di Cervara. Per qualche informazione in più ci viene in soccorso Manfredo Giuliani che in un saggio del 1954 scriveva: “Nell’alta valle del Verde esistono le rovine e gli avanzi di due chiese dedicate a San Pietro, l’una delle quali, molto piccola, sorgeva tra gli attuali villaggi di Cervara e S. Lorenzo”. La piccola chiesa, una volta abbandonata, vide disperso il suo patrimonio e l’antica e preziosa campana è finita a San Lorenzo, fatto che testimonia l’importanza di questa chiesa e della comunità che ad essa fa riferimento.
Il paese si trova lungo due delle percorrenze più battute del Medievo; sia la via del Borgallo (da Piacenza) che la via del Brattello (da Parma) avevano infatti in Navola San Lorenzo (che si trova a 700 metri di altitudine) il primo abitato lungo la discesa appena valicati i passi appenninici. E che i legami tra i due versanti fossero forti lo testimonia anche il filo invisibile che lega proprio le campane di paesi diversi ma nati lungo strade comuni; un filo teso anche da questo fonditore che sette secoli fa ha lavorato nei pressi di Cervara per la chiesetta di Campiglia.
Il suo nome infatti compare su altre fusioni censite nelle valli che scendono nel Parmense: sono quelle “campane parlanti” (perché conservano la firma dell’autore) a raccontare dell’artigiano che le ha realizzate, quel “Giovanni da Pontremoli” che oltre del bronzo ora sul campanile di San Lorenzo fu l’autore, nel 1350, anche di quella per la chiesa piacentina di Ottone nell’alta val Trebbia e, nel 1360, di quella fusa per la pieve di Costa di Tizzano in val Parma. Sulla prima è infatti l’scrizione “MCCCLX S(anctus) Petrus Ioannes de Pontremulo me fecit…” così come sulla seconda, ora conservata nel Museo di Arte Sacra di Ottone, si legge “MCCCLV JOHANES DE PONTREMULO ME FECIT”. Sempre al nostro fonditore è stata attribuita anche la campana minore di un’altra chiesa in alta val Parma, quella di Corniglio, realizzata nel 1370 e purtroppo andata perduta perché dispersa o rifusa.
Inoltre un’iscrizione quasi identica a quella di San Lorenzo si leggeva sul bronzo realizzato, anche in questo caso nel 1370, per la chiesa di San Cristoforo in Val Vona, non lontano da Borgotaro: “MCCCLXX IOHANES ME FECIT”. Questo Giovanni è ritenuto essere un artigiano arrivato “da Parma”, ma certo ci sono molte coincidenze sulle quali riflettere. Si deve proprio escludere l’ipotesi che possa essere invece il nostro “da Pontremoli”? Il periodo di attività, la relativa vicinanza delle due località (San Cristoforo in Val Vona e Navola San Lorenzo distano una ventina di chilometri lungo le antiche strade) e la collocazione sulla via che collegava Pontremoli a Bobbio passando per Bardi e arrivava fino a Ottone. Se così fosse, questa di San Cristoforo sarebbe dunque la quinta campana a lui attribuibile. Purtroppo è andata distrutta nel 1856 e non è possibile avere altri riscontri.
Ma al di là del numero delle “sue” campane, di certo Giovanni da Pontremoli si colloca tra i “fonditori itineranti”: era questa infatti una delle caratteristiche degli artigiani di campane. Se nelle aree urbane già fra XIII e XIV secolo potevano essere presenti botteghe dove si mettevano in pratica i segreti di quest’arte così particolare e misteriosa, nei centri minori e nelle periferie montane tale attività era in genere svolta da artigiani altrettanto abili che tuttavia, per ritagliarsi un proprio spazio, erano costretti a rivolgersi ad una committenza sparsa su territori ampi e in località disagiate. Ricevuto l’incarico, provvedevano ad organizzare il delicato lavoro. Un sapere antico, tramandato da “maestro” ad apprendista, fatto di grandi conoscenze e piccole superstizioni: se tutto andava bene la campana emersa dalla terra e ripulita dalle imperfezioni con abili colpi di scalpello poteva cantare con voce argentina ed era pronta per il posto a lei riservato sul campanile. Dove sarebbe rimasta per secoli.
(Paolo Bissoli)