
Francesca Ferrari, presidente provinciale di Coldiretti: “serve l’impegno di tutti per fare fronte comune”

“Vivo qui da una dozzina d’anni e la presenza degli ungulati è sempre stato un problema, ma adesso siamo davvero all’emergenza”: è il commento con il quale Francesca Ferrari, presidente di Coldiretti provinciale, inizia a rispondere alle nostre sollecitazioni in una stagione nella quale i danni provocati soprattutto (ma non solo…) da cinghiali e caprioli sono davvero rilevanti. “L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Covid-19 – continua l’imprenditrice agricola pontremolese – ha portato a restrizioni anche alla caccia e con la diminuzione delle battute è aumentato ad esempio il numero dei cinghiali, la cui presenza è ormai diventato un grave problema sociale che dobbiamo affrontare tutti insieme”. Francesca Ferrari auspica che, finalmente, ci possa essere un fronte comune nei confronti di un problema che non si risolve dall’oggi al domani. “Abbiamo in corso una concertazione con la Regione Toscana, ente nel quale abbiamo trovato molta disponibilità, ma le difficoltà nell’applicare scelte e strategie condivise è molta”.

La fauna selvatica ormai staziona stabilmente nei dintorni dei paesi e perfino nel fondovalle della Lunigiana, complice l’abbandono del territorio da parte delle attività dell’uomo e la crescita esponenziale dei capi; solo i cinghiali in Lunigiana sono stimati in molte migliaia e ogni anno aumentano. Poi ci sono cervi e caprioli, istrici e tassi, merli e fagiani… “Deve essere chiaro a tutti – conclude – che ciascuno deve fare la propria parte: agricoltori, cacciatori e istituzioni, altrimenti è difficile trovare una soluzione”. C’era molta attesa nei mesi scorsi dopo l’annuncio arrivato da Firenze che gli agricoltori avrebbero potuto mettere in atto forme di autodifesa attiva contro i predatori, ma il provvedimento stenta a decollare, sia per la complessità dell’iter, sia per il numero dei soggetti coinvolti. Proviamo a capire il perché. L’agricoltore che verifica danni da cinghiali deve allertare la Polizia Provinciale (che dipende dalla Regione) e a questo punto dovrebbe intervenire la squadra di caccia al cinghiale deputata per territorio. Se questo non avviene o se la battuta non ha esito torna protagonista l’agricoltore che, se in possesso di idoneo porto d’armi, può provvedere ad abbattere l’animale. Già così si capisce che, nella migliore delle ipotesi, servono giorni. Se poi l’agricoltore non ha il porto d’armi tutto si ferma e i cinghiali possono continuare nel loro “pascolo”.
Un passo avanti potrebbe essere quello di autorizzare l’agricoltore a chiedere l’intervento di un cacciatore di fiducia, ma per ora questa è solo una proposta. C’è poi il problema del Centri di Raccolta per i capi abbattuti: devono ancora essere individuati e nel frattempo la ruota, anche se messa in moto, si ferma perché l’animale una volta ucciso deve essere “smaltito”. C’è poi l’aspetto delle normative: la materia è regolata da una legge nazionale vecchia di decenni, scritta quando il territorio aveva altre caratteristiche, quando l’agricoltura era ancora diffusa in modo più capillare, quando il problema della fauna selvatica non era una vera emergenza come oggi. Non è facile neppure introdurre modifiche nelle norme delle singole regioni, anche se ci fosse la volontà di farlo: se a Firenze se ne occupa il settore dell’agricoltura a Roma la competenza è del ministero dell’Ambiente. Con il rischio che venga tutelato più il cinghiale dell’agricoltore! Come se tutto questo non bastasse c’è un altro aspetto di grande importanza soprattutto per territori come il nostro: eventuali provvedimenti a favore degli agricoltori riguarderanno quasi certamente solo gli imprenditori titolari di aziende, lasciando fuori tutti quelli che l’agricoltura la praticano nel tempo libero. L’esclusione dei così detti “hobbisti” è un problema rilevante: sono tanti, infatti, coloro che perché in pensione o dopo il lavoro si impegnano nel coltivare porzioni anche ampie di terreno o curano vigneti estesi. Per questa categoria sembra non esserci tutela: non possono accedere ai finanziamenti per la lotta passiva (confini elettrificati, reti etc…), non sono ammessi alla possibilità di rimborso dei danni subiti, non potranno rivolgersi alla Polizia Provinciale. Eppure è anche grazie al loro prezioso lavoro quotidiano se la Lunigiana mantiene ancora l’aspetto di un territorio dove si lotta contro l’abbandono.
Paolo Bissoli