“Dieci anni fa iniziava il sanguinoso conflitto in Siria, che ha causato una delle più gravi catastrofi umanitarie del nostro tempo: un numero imprecisato di morti e feriti, milioni di profughi, migliaia di scomparsi, distruzioni, violenze di ogni genere e immani sofferenze per tutta la popolazione”. Sono le parole di papa Francesco all’Angelus di domenica, vigilia del decimo anniversario delle prime manifestazioni in Siria contro il regime del presidente Bashar Al-Assad; da successive rivolte, un anno dopo, il 2012, prese il via la guerra civile che dura ancora oggi.
Impossibile condensare in un editoriale le ragioni e le fasi di un conflitto così complicato; nato su basi politiche, poi trasformatosi in lotta tra fazioni religiose islamiche e reso ancora più devastante dall’intervento di potenze straniere. In una triste ricorrenza decennale, può forse dare più speranza l’appello del Papa “alle parti in conflitto, affinché manifestino segni di buona volontà, così che possa aprirsi uno squarcio di speranza per la popolazione stremata”, unito all’auspicio di “un deciso e rinnovato impegno, costruttivo e solidale, della Comunità Internazionale”.
Francesco non è solo nel denunciare le tragiche conseguenze della guerra per il popolo siriano. L’Unicef ha pubblicato un video con interviste a ragazzi di Aleppo tra i 10 e i 14 anni. Sono ragazzi che spesso non sono mai andati a scuola e che cercano di recuperare con l’aiuto del centro organizzato dall’agenzia Onu, che fornisce servizi di base, protezione e, appunto, istruzione.
Secondo dati verificati, tra il 2011 e il 2020 “circa 12.000 bambini sono stati uccisi o feriti e più di 5.700 bambini sono stati reclutati nei combattimenti”. Tutti gli intervistati già lavorano e hanno poco tempo da dedicare allo studio, in un contesto reso più difficile dalla crisi economica innescata dalla pandemia.
Altri dati drammatici emergono dal rapporto della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, dove si dice che “decine di migliaia di civili detenuti arbitrariamente risultano ancora scomparsi, mentre a migliaia sono stati sottoposti a tortura e violenza sessuale o sono morti in carcere”. Almeno 350mila le vittime dei combattimenti. Il dito non è puntato solo contro il governo di Assad ma anche sui tanti “gruppi armati e organizzazioni terroristiche”, tra cui lo Stato islamico (Isis), accusati di atroci reati derivanti anche dalla religione di appartenenza delle vittime.
Accorato l’appello lanciato da p. Hanna Jallouf, parroco latino di Knaye, provincia di Idlib, ancora sotto controllo dei jihadisti: “Il nostro presente ci parla di povertà estrema, di fame, di abusi, di mancanza di ogni servizio di base, sanitario in particolare. Il futuro è ancora più buio e la gente è disperata perché non sa più come andare avanti”.
Antonio Ricci