Se fosse luce

Domenica 28 febbraio – II di Quaresima
(Gen 22,1-2.9.10-13.15-18; Rm 8,31-34; Mc 9,2-10)

Sembra di sentirlo il cuore di Pietro: perché tanta bellezza Gesù? Perché affogarci di luce quando poi tutto finirà? Come possiamo reggere il peso del buio dopo aver bevuto della carezza leggera della trasfigurante bellezza? Dopo tanta luce come innamorarsi ancora dell’uomo?
E allora meglio provare a trattenere, anche poco, ma trattenere: tre capanne. Come un bambino che chiude le mani nell’acqua pensando di contenere il mare. Tre tende. Troppo piccolo il suo cuore, patetico tentativo, la luce per natura sfugge. Altra tenda è pronta all’orizzonte, come una nube che scende dal Cielo a contenere anche la stessa luce. Forse Pietro cominciava a capire. Come una nube il grembo di Dio Padre avvolge ogni cosa. Sua la voce che invita all’ascolto del Figlio. Forse Pietro comprende. Forse comprendiamo anche noi. La trasfigurazione non è anticipo di futuro ma grembo divino che scende dal cielo ad avvolgerci. A ricordarci che nostro destino ultimo è venire alla luce ma che noi, ora, siamo nel travaglio di una gravidanza, in piena nube. Siamo nel grembo materno di Dio. Il Vangelo della trasfigurazione arriva a noi oggi, chiamati a fare esperienza di questo utero divino che è la nostra storia, storia di nube più che di luce, storia di ombre… ma ombre che invitano a contrazioni di nascita. Contrazioni di un parto che si gioca a Terra. Le doglie, il travaglio, chiedono di assumere la crosta della vita. E nascere fa paura, Pietro lo comprende bene, si aggrappa a un sogno, tre tende, ma per incidere l’argilla della nostra umanità occorre lasciarsi fecondare dal mondo reale. Dalla storia. Dolorosa feroce e dolcissima vita.
Mentre scendevano dal monte. Le ombre si avvicinano, la luce riamane alle spalle, Gesù chiede silenzio. Non possono capire i discepoli. Forse ricorderanno. Che quello che hanno vissuto non è altro che un punto di vista. Il punto di vista dal quale saranno chiamati a rileggere la realtà. Il punto di vista che permetterà di comprendere l’agire storico di Gesù. Quel Gesù che ha visto luce scorrere dietro le chiusure della fragile carne umana. Luce dietro l’argilla del peccato, luce dentro le paure, luce dentro le povertà, luce persino nel cuore dell’uomo che tradisce, bestemmia, si uccide. E il suo agire è stato quello di un rabdomante di luce. Passava, toccava e faceva nascere. Portava alla luce. Il suo ultimo monte è stato avvolto da una nube fuori tempo, estremo tentativo di oscurare il sole. Ma lui anche quella coltre ha saputo oltrepassare. Luce, anche dentro l’esperienza della morte, anche sul Calvario, anche dietro al pietra chiusa di un sepolcro. La trasfigurazione diventerà resurrezione. don Alessandro Deho’