Pontificale di San Geminiano: “Il cristiano è profeta impegnato nell’aiuto ai fratelli bisognosi”

Mons. Alberto Silvani ha presieduto nel duomo di Pontremoli il pontificale in onore di S. Geminiano

Mons. Alberto Silvani, vescovo di Volterra, ha presieduto la solenne celebrazione nel duomo di Pontremoli (Foto studio Walter Massari)

Scampata per poco alle drastiche restrizioni pandemiche del 2020, la festa di S. Geminiano, patrono di Pontremoli, è stata quest’anno segnata da norme più blande ma che hanno condizionato sia i momenti religiosi che quelli civili. Duomo, quindi, occupato nei limiti imposti, nel tardo pomeriggio di domenica, per la celebrazione del pontificale, presieduto per il secondo anno consecutivo da mons. Alberto Silvani, vescovo di Volterra. Presenti in presbiterio il vescovo emerito Eugenio, sacerdoti e diaconi.
Hanno reso omaggio al santo patrono i Cavalieri del Santo Sepolcro, autorità militari e civili; in particolare, all’offertorio la sindaca Lucia Baracchini ha posto nelle mani del celebrante il cero votivo. Dopo il saluto alle diverse componenti dell’assemblea, uno “cordiale” all’Amministratore apostolico, uno “particolare” al vescovo Giovanni e “una preghiera sincera e accorata per il nuovo vescovo che a tempo debito ci sarà inviato”, mons. Silvani ha proposto “due riflessioni sul momento particolare che stiamo vivendo, e cioè la situazione di contagio e il cambiamento del Vescovo. Sono due momenti che ci invitano a riflettere, ma senza drammatizzare”.

Il dono della cera da parte del sindaco a nome della città. (Foto studio Walter Massari)

“L’esperienza del contagio ci obbliga a fare i conti con la precarietà” e questo vale anche per “la vita delle nostre parrocchie” che “ha perduto il suo ritmo” abituale. Può darsi che si riduca il numero dei fedeli “ma emergerà una vita cristiana più motivata e quindi più impegnata, perché essere in minoranza non vuol dire essere insignificanti”. “Tutto ciò non solo “ci costringe a uscire dallo stile di vita abituale”, ci impone una cosa difficile da digerire: “la fine del delirio di onnipotenza verso il quale ci aveva indirizzato il pensiero dominante”; ci fa capire “quanto sia precaria la nostra posizione sulla terra”.
Dalle tragedie sono spesso nate iniziative che hanno contribuito a rendere migliore il mondo, “poi il benessere ci ha fatto dimenticare il passato e sono rispuntate le radici dell’egoismo, del razzismo, dei vari nazionalismi che stanno distruggendo quel poco di buono che si era faticosamente costruito, cominciando dall’unita europea”.
“Dovremo rinunziare a qualcosa di superfluo e pensare all’essenziale… abituarci ad una maggiore solidarietà. Anche coloro che si ritengono poveri devono aiutare il fratello, perché non esiste la categoria di chi ha l’obbligo di aiutare e quella di chi ha il diritto di essere aiutato”. Quanto al cambiamento del Vescovo, mons. Silvani ha ricordato che “si accoglie chi verrà come un dono del Signore, con lui faremo un tratto di strada insieme senza dimenticare che c’è stato un prima e che ci sarà un dopo… faremo tesoro di quel servizio che potrà renderci, lo sosterremo e lo incoraggeremo nei momenti di difficoltà”.
“Non sono i grandi proclami o i piani pastorali, ma la comunione interna e la collaborazione con i pastori che danno il tono di una comunità… la testimonianza della vita vissuta nella carità fraterna è la predica migliore che possiamo fare”. Il momento chiede di “passare da comunità credenti a comunità credibili”. “Dio non ama la nostra epoca meno delle altre… egli sa trarre il bene anche dal male; questa certezza ci protegge dalla tentazione del pessimismo e ci spinge a cercare i germi del bene… se non riusciamo a vedere la presenza di Dio, forse è perché non ci mettiamo dal punto giusto di osservazione”.
Non dobbiamo vivere di rendita sui “grandi valori e i tesori del passato”, essi “devono diventare nostri e rivivere con il nostro sofferto impegno personale”. Ricordiamo l’aforisma di Mahler: fedeltà alla tradizione significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri. Infine, l’invito a proclamare “alti e forti i nostri valori con un dignitoso stile di vita” perché il cristiano “si presenta nella società non come legislatore, ma come profeta… pur essendo impegnato fino al collo nell’aiuto ai fratelli bisognosi”.
Dopo ogni crisi “la Chiesa riemerge in maniera imprevedibile” e continua la sua missione sotto la guida dello Spirito. “La vita cristiana è vissuta anche oggi”: ce lo ricordano la beatificazione di Carlo Acutis e il martirio del beato Rosario Livatino.

(a.r.)