
Come se non fossero bastate le intensissime opere di René Girard ho letto anche un altro volume dall’esplicita ispirazione e impostazione girardiana: Filosofia del diavolo – Una breve storia dell’essere (Agorà & Co, 2018) di Roberto Bigini, nato a Carrara nel 1976, laureato in Filosofia a Bologna, collabora alla pratica dialogica di gruppo coi medici e personale del reparto di Oncologia dell’Ospedale di Carrara. Collabora a Phronesis, Associazione Italiana per la consulenza filosofica, dove pubblica articoli, recensioni, è autore di un saggio su Martin Heidegger e di Filosofia del diavolo. Una breve storia dell’Essere. Il libro parte dall’analisi del testo di E.T.A. Hoffmann, Ignazio Denner in cui si denuncia il rapporto fra l’umano e il demoniaco, il modo in cui l’uomo si pone davanti alla signoria, che rappresenta la divinità.
Andrea è un guardiacaccia che vive con la moglie Giorgina nel podere del conte Vach. Un giorno nella loro vita di stenti, si insinua il misterioso Ignazio Denner guarendo la salute malferma di Giorgina e offrendo del denaro alla coppia. In cambio, istiga Andrea ad uccidere il suo signore, il conte, dipingendolo come la causa di tutte le sue difficoltà. Andrea non cede, neanche alle offerte di ricchezza e fortuna di Denner, il quale si rivela dapprima un ricercato, in seguito il figlio dell’alchimista napoletano Trabacchio e poi il padre di Giorgina: lo scopo però non è quello di riabbracciare la figlia, ma di compiere l’orribile destino-desiderio del proprio avo: rimanere in vita per sempre, bevendo il sangue dei suoi figli o dei suoi discendenti, sgozzati all’età di nove settimane. Andrea salva il proprio figlio, appena nato, uccidendo Denner prima che egli possa compiere l’immondo rituale.
L’analisi di quest’opera è l’incipit dal quale Bigini parte per un breve ma intensissimo viaggio all’interno della filosofia moderna, volto a rivelarne i tratti satanici intesi, secondo Girard, come espressioni delle rivalità mimetiche e del sacrificio rituale. Le chiavi di lettura ruotano attorno al concetto di libertà dalla signoria, intesa come rivolta hegeliana dello spirito rispetto alla natura e, prima ancora, come sganciamento dall’essere del pensiero umano, attraverso il passepartout cartesiano.
L’uomo, pensandosi, inizia a porsi come altro da sé, come essere divinizzato, come immagine-scopo di sé stesso, sganciandosi da ogni prospettiva di subordinazione. In realtà l’uomo (e la filosofia) finiscono in questo modo per entrare in un infinito e sfiancante vortice dialettico in cui il posto della divinità è assunto proprio da satana che, nel suo fare e disfare ogni prospettiva filosofica, ideologica e di vita, ogni finto “umanesimo”, si fa parassita dell’uomo rendendolo il doppio di se stesso.
Approdo di un simile “viaggio” del pensiero umano non può che essere la sfida-rifiuto del Cristianesimo in quanto tale di Nietzsche, il quale caldeggia e propaganda il rifiuto del sacrificio, di ogni rinuncia a sé, e quindi ogni volontà di potenza fine a se stessa, senza il dovere di giustificarsi con nessuno per nessun motivo. Quella “religione di schiavi”, secondo Nietzsche, nata dai Vangeli, è tale perché essa presuppone la schiavitù dell’umano al divino. Ma il rifiuto di ogni schiavitù implica sempre il sacrificio dell’altro-ostacolo e dello stesso sacrificio umano (ritualizzato in modo nuovo rispetto ai culti ancestrali ed antichi) in funzione della “salvezza” della specie, del gruppo, della società, dell’umanità.
E la volontà di potenza nicciana sembra davvero oggi – nel suo manifestarsi in ogni arbitrarietà sempre più goffamente camuffata o addirittura esibita ed imposta in quanto esibita – il capolinea del pensiero e dell’agire umano. L’humus anticristico in cui va apparendo, a poco a poco, un uomo sempre più orgogliosamente iniquo.
Sebastiano Mallia