Già nello scorso numero del nostro settimanale abbiamo scritto, in seconda pagina, della figura del nuovo beato Carlo Acutis. La sua vita è stata raccontata sui diversi media, come raramente accade in riferimento a fatti che attengono alla sfera religiosa. A colpire, immaginiamo, sono state la sua morte avvenuta nel 2006, a soli 15 anni e la concomitanza con la presenza del papa ad Assisi, dove Carlo è sepolto ed è stato proclamato beato.
Fuori dell’ordinario, però, è proprio la storia della sua breve vita per diversi elementi che la caratterizzano. Di famiglia alto borghese, non particolarmente aperta all’esperienza religiosa: in una intervista, la madre ha ammesso che è stata proprio la testimonianza di Carlo a favorire una riapertura alla fede. Si potrebbe dire, quindi, “autodidatta”, nella fede come nella sua passione per l’utilizzo delle moderne tecnologie digitali e della rete. Dal punto di vista della pratica religiosa, una figura d’altri tempi, con una frequenza quotidiana alla S. Messa e alla comunione eucaristica.
Ecco, forse è soprattutto questo l’aspetto che rischia di… rovinare tutto. Una persona come il beato Carlo Acutis sembra fatta apposta per parlare ai giovani, per testimoniare loro che la sequela di Cristo è possibile anche in un mondo come il nostro, che spesso usiamo come scusante per la nostra vita di fede superficiale o trascurata.
Lo ha specificato il Papa, come ci ricordava don Fabio la settimana scorsa: “i meccanismi della comunicazione e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare soggetti addormentati, dipendenti dal consumo, ossessionati dal tempo libero, chiusi nella negatività. Lui però ha saputo usare le nuove tecniche di comunicazione per trasmettere il Vangelo, comunicare valori e bellezza”.
Ecco, allora il rischio dietro l’angolo: quello di presentarlo come un essere fuori della realtà di tutti i giorni; di rinchiuderlo in un santino che poco o niente può riuscire a comunicare ai giovani di oggi. Se questo accadesse, saremmo di fronte ad una splendida occasione perduta per avvicinare i giovani a stili di vita che con la realtà hanno invece legami strettissimi.
Perché, stando alle molte testimonianze di chi lo ha conosciuto bene, tutto era Carlo, tranne che un “santino” avulso dal quotidiano. Le opere che ha realizzato nella sua breve vita, utilizzando proprio quegli strumenti digitali che, anche giustamente, spesso vengono visti come “strumenti del diavolo”, ci parlano di una personalità certo non comune, ma nemmeno tanto distante da non poter essere di ispirazione per giovani che siano alla ricerca di uno scopo nella vita.
Per questo motivo è auspicabile che non si perda un’occasione così preziosa per parlare ai giovani usando un linguaggio che possa far breccia nei loro cuori.
Antonio Ricci