
La testimonianza del missionario laico sull’altipiano della Bolivia
C’è la bambina con sindrome di down, contagiata dal Covid-19, “salvata” grazie al provvidenziale ossigeno. O il padre salesiano che, in crisi respiratoria, mentre anche tutti i confratelli hanno contratto il virus, riceve un provvidenziale aiuto. Così, l’arcobaleno continua a spuntare tra la sofferenza e la morte sull’altipiano della Bolivia.
Per Aristide Gazzotti, missionario laico originario della provincia di Reggio Emilia, queste sono settimane di attività straordinaria. La sua “creatura” si chiama, appunto, Cittadella dell’arcobaleno, con sede a Cochabamba, una delle principali città boliviane, è nata nel 2007 e dà accoglienza a minori in situazione di disagio, fragilità o malattia, insieme alle loro famiglie. In tutto circa 100 famiglie e 300 minori sono ospitati nelle strutture della Cittadella.
Ma da quando il Covid-19 ha iniziato a far sentire i suoi effetti anche in Bolivia, l’attività di Gazzotti e dei suoi collaboratori si è allargata. Fino a guardare in faccia il virus che, a dispetto dei dati ufficiali, entra in moltissime case e colpisce, anche indirettamente, i più fragili. È allora che interviene Aristide che, per la sua possibilità di muoversi in una città bloccata nelle scorse settimane dal lockdown, ha ricevuto dalle autorità sanitarie la richiesta di accompagnare in ospedale chi ha bisogno di cure.
Ma con la Cittadella si sta dando da fare anche per procurare respiratori. E Aristide si è trasformato in un vero e proprio “angelo dell’ossigeno”: “Vorrei dare l’ossigeno a tutti”, ci confessa. Il suo racconto è una testimonianza di Vangelo e, al tempo stesso, uno spaccato su quelle che sono le conseguenze del Covid in un Paese poverissimo come la Bolivia, con un sistema sanitario già al collasso anche prima della pandemia. A cominciare proprio dai bambini, sia quelli ospitati nella Cittadella dell’Arcobaleno che gli altri visitati o accompagnati in ospedale.
“Ci sono bambini malati di Covid, spiega Gazzotti, ma sono ben evidenti gli effetti della situazione attuale sui bimbi colpiti da altre patologie, per esempio tumori, o malattie renali. I casi sono molti, qui è tutto fermo da quattro mesi. Gli ospedali pubblici non accolgono più nessuno, non si fanno visite o controlli”.
In questo contesto, la presenza del Covid-19 è comunque in deciso aumento e c’è un clima di paura e confusione: “La gente è disorientata, tutto è fermo, non si lavora. Bisogna pur sopravvivere e la gente è costretta a uscire per provare a procurarsi da mangiare. C’è una confusione terribile, oltre ai medici anche molti militari e agenti di polizia hanno contratto il virus. Lo Stato ha dato un buono corrispondente a circa 70 euro, ma il contributo si spende in una settimana. I dati non sono alti come quelli di altri Paesi, eppure i contagi aumentano, e tutti sembrano avere un malato per famiglia”.
Anche sui numeri, insomma, c’è qualcosa che non torna (ufficialmente i positivi sono finora circa 70mila, con oltre 2.500 morti). In questa situazione, Aristide Gazzotti ha deciso di “guardare in faccia” il virus, pur con tutte le cautele e i dispositivi di sicurezza. “Noi ci muoviamo, entriamo nelle case, visitiamo i bambini. Ma siamo prudenti e facciamo il tampone ogni settimana, finora siamo sempre risultati negativi”.
La riflessione del missionario laico prosegue: “Il mio pensiero va alla bimba down epilettica, che abbiamo pulito, fasciato e curato, come Cristo ha fatto con il lebbroso. Questo virus, pur con le dovute attenzioni, lo dobbiamo toccare, guardare in faccia, dobbiamo entrare nella vita delle persone che sono state contagiate e che stanno soffrendo. Questo ci chiede il Vangelo, di vincere la paura e l’isolamento, certo con tutte le precauzioni. Ci chiede di entrare nel dolore di tutte queste famiglie, e un cambio profondo di mentalità”.
B.D. – La Vita del popolo