Dal massacro di Srebrenica la lezione per oggi

In Bosnia, tra l’11 e il 19 luglio 1995, undicimila musulmani vennero fucilati e sepolti in enormi fosse comuni

31Srebrenica-PotočariUn quarto di secolo fa, nel cuore dell’Europa, a Srebrenica, Bosnia, si consumava il peggior massacro in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale. Tra l’11 e il 19 luglio del 1995, le forze serbe di Bosnia trucidarono circa 11 mila uomini musulmani. Srebrenica ospitava 20 mila profughi e 37 mila residenti, protetti da meno di cinquecento soldati Caschi blu dell’Onu a guida olandese, la cui inettitudine fu determinante per il compimento del genocidio. I soldati serbi e la polizia radunarono uomini di età tra 16 e 70 anni, quasi tutti civili, per poi fucilarli e seppellirli in fosse comuni, mentre le donne subirono stupri e violenze.
Fu la scoperta di quel massacro a indurre le forze Nato a intervenire direttamente e porre fine al conflitto con la fragilissima Pace di Dayton tra i musulmani bosniaci e i cattolici croati e, sul fronte opposto, i nazionalisti serbi, che si erano separati dalla Bosnia Erzegovina e volevano espellere tutte le altre comunità dai territori che avevano conquistato.
Ricordare Srebrenica oggi non è solo un atto di pietà verso le vittime o di denuncia verso la barbarie della guerra: è un modo per ricordare come quel conflitto abbia avuto ripercussioni in Europa. Infatti, mentre va avanti il minuzioso lavoro di riesumazione dalle fosse comuni e identificazione delle vittime della folle pulizia etnica, e dopo che il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia ha condannato per crimini di guerra 62 serbi di Bosnia, tra cui il generale Ratko Mladić e il leader politico dei serbi di Bosnia Radovan Karadžić, non si possono tacere due aspetti importanti per l’Europa di oggi.
Il primo riguarda il risorgere dei nazionalismi, proprio a partire dalla dissoluzione della Jugoslavia, con il loro contorno di xenofobia e di strumentalizzazione religiosa. Srebrenica è l’esempio di quali possono essere le conseguenze del nazionalismo estremista, alimentato anche dall’insorgente negazionismo: nonostante la scrupolosa documentazione dei crimini commessi, in Serbia dilagano le tesi che sostengono che il genocidio bosniaco non sia mai esistito, utilizzando argomenti simili a quelli che negano il genocidio armeno o l’Olocausto. Il secondo concerne la presenza in Europa dell’Islam radicale.
La Bosnia era la terra di un Islam laico e ben integrato – a Sarajevo, prima della dissoluzione della Jugoslavia, un terzo dei matrimoni erano interetnici – sostituito da un aggressivo fondamentalismo che vi si annidò con l’arrivo dei volontari Mujaheddin e di Al-Qaeda, 3-4 mila, fatti affluire dall’allora presidente bosniaco Alija Izetbegovic.
Molti di essi restarono a fine guerra, la Bosnia di questi anni è stata non a caso sede di campi di addestramento dei “foreign fighters” dei conflitti ingaggiati dal Daesh, mentre palese è l’influenza economica e culturale (nuove moschee, e centri culturali/universitari, etc.) esercitata da Arabia e Turchia per spingere i musulmani balcanici verso il movimento Wahabita o a quello dei Fratelli Musulmani.

(Davide Tondani)