Il capitalismo non ha eliminato il sacro nel mondo secolarizzato

22libro“Il cristianesimo del XX secolo ha combattuto una battaglia campale contro l’ateismo per la minaccia che rappresentava per la fede, senza accorgersi (fino a Papa Francesco) che nessuna ideologia era mai riuscita come il capitalismo a eliminare la religione ebraico-cristiana dal cuore delle persone e dei popoli. E così, mentre le sue truppe erano fuori a combattere l’ateismo dei vari comunismi, è stato sconfitto da un’idolatria che si è introdotta con un cavallo di troia (l’imbroglio dello spirito cristiano del capitalismo) dentro le mura della sua città”.
Basterebbero queste prime parole del libro, per recensire “Il capitalismo e il sacro”, monografia di Luigino Bruni, edita da Avvenire e da Vita e Pensiero. Bruni, professore di economia politica all’Università Lumsa di Roma, formatosi nel Movimento dei Focolari di Chiara Lubich, è un economista convinto che la scienza economica da sola non è sufficiente a capire il mondo, e che perciò ad essa unisce la sua vocazione umanista e la sua formazione teologica.
Nel libro Bruni esplora la relazione tra sistema economico capitalista e religione, proponendo una tesi originale e per certi aspetti sconvolgente: a dispetto delle apparenze, il capitalismo non ha eliminato il sacro nel mondo secolarizzato. È esso stesso diventato una religione, a cui viene reso un culto, forse inconsapevole, nella prassi quotidiana di miliardi di persone. I suoi dogmi sono il consumo, la crescita economica senza limiti, la meritocrazia, il profitto.
L’inculturazione del messaggio capitalista, secondo Bruni, è avvenuta elevando i manager a sacerdoti e l’impresa a comunità religiosa perfetta. La larga accettazione, da destra a sinistra, dell’aziendalizzazione della cosa pubblica e la traslazione del linguaggio e delle prassi d’impresa nella vita e nelle relazioni sociali sono l’eloquente segno di un capitalismo che si insedia nelle coscienze fino a configurarsi come esperienza assoluta e onnipervasiva.
L’autore esplora gli intrecci tra economia e religione, mostrandone le radici arcaiche e le contaminazioni storico-teologiche. Con la globalizzazione, il capitalismo individualista e solitario, figlio dell’esperienza anglosassone, basata sull’antropologia luterana e calvinista, dove l’essere umano è visto essenzialmente orientato al proprio interesse personale, e il bene comune arriva come effetto non intenzionale (la “mano invisibile” di Smith), è dilagato anche nei paesi cattolici, dove il capitalismo si fondeva con l’umanesimo, poggiando sulle virtù e sull’uomo sociale.
In questi paesi, il passaggio da un sistema economico che produceva meno ricchezza ma conservava le relazioni, ad uno più orientato al profitto, ha profondamente modificato la concezione di lavoro e società, determinando le tensioni che gli stati sud europei stanno vivendo.
Ma cosa ha da dire e fare il cristianesimo di fronte a questa nuova forma del sacro, diventata secondo Bruni una vera e propria idolatria? La Bibbia è ricca di episodi che raccontano le tentazioni idolatriche a cui l’uomo è stato da sempre esposto.
Ma è altrettanto ricca di una fortissima carica anti-idolatrica che sempre ha abitato e tenuto in vita la fede biblica: la misericordia, il dono, la gratuità, per rimanere ai campi di ricerca esplorati da diversi economisti cattolici in questi anni (in Italia, oltre a Bruni, Leonardo Becchetti e Suor Alessandra Smerilli, per citare i più noti), sono l’antidoto alle tendenze distruttrici di un’economia diventata idolo.