Un testo di Lorenzo Fazzini ci guida in una riflessione sulla “teologia del coronavirus”
“Dove diavolo sia Dio nel Coronavirus è una domanda lecita. Possibile. Perfino dolorosa. E se non lo si trova in soluzioni veloci o precotte, a noi tocca almeno domandarci dove lo si potrebbe trovare. O pensare, dato che la teologia è (Origene) ‘entusiasmo critico della fede’”.
Così Lorenzo Fazzini scrive in un libretto – Dio in quarantena. Una teologia del Coronavirus, scaricabile gratuitamente dal sito di Editrice Missionaria Italiana (www.emi.it) – in cui riflette sul nostro pensare Dio in queste settimane di pandemia. Come cristiani ci sentiamo a disagio per non poterci ritrovare fisicamente intorno alla celebrazione eucaristica e per la mancanza di tutti quei momenti che caratterizzano il nostro modo di esprimere la fede. E ci chiediamo come essere Chiesa oggi.
I social e le tecnologie sicuramente aiutano: i riti che non possiamo celebrare con presenza di popolo possiamo trasmetterli in tv su computer o su smartphone; questo sicuramente aiuta a sentirsi comunità, vicini anche se distanti, a non perdere il ritmo. Ma al di là dei riti, come possiamo essere popolo di Dio che legge i segni dei tempi – di questi tempi – con tutte le loro particolarità? Se pensiamo che Dio parli nella storia, dobbiamo attraversare questo periodo fatto di solitudine e di distanze sociali, da rispettare per il bene di tutti, senza evaderlo.
Un tempo quindi durante il quale non possiamo frequentare i riti che si svolgono nelle chiese; tempo però di riflessione, di riscoperta della necessità di rapporti significativi, di riscoperta della Parola di Dio e di gesti di solidarietà. Un tempo di lettura dei fatti di questi giorni. Fatti che possiamo definire apocalittici, non perché spaventosi ma perché – questo è il significato del termine – ci offrono rivelazioni. “Rivelazioni – scrive Fazzini – di chi siamo, di cosa siamo, di cosa pensiamo, di cosa per noi è importante o a cosa non assegniamo rilevanza. Di cosa conta per noi e di cosa non conta. Sono uno specchio che ci fanno vedere noi quando noi non ci siamo voluti guardare”.
Durante la benedizione Urbi et Orbi del 27 marzo, Papa Francesco ci ricordava infatti come questo sia “il tempo del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita” verso il Signore, e verso gli altri. Forse per vivere questo tempo da cristiani maturi e per essere una Chiesa non anacronistica dobbiamo trovare parole non pre-impostate.
Aggiungere alle parole dei riti le parole – anche travagliate – di una ricerca comunitaria di senso. In questo contesto un gruppo di ragazzi legati alle iniziative della Pastorale Giovanile diocesana sta provando a riflettere e a proporre alcune riflessioni. Il gruppo – P maiuscola – nato alcuni mesi fa da alcune provocazioni raccolte durante il convegno diocesano del 27 settembre – si propone di sensibilizzare alla politica fatta bene, quella con la ‘p’ maiuscola appunto, quella che al di là dell’appartenenza a un partito tende a realizzare il bene comune.
Sulla pagina facebook del gruppo (P maiuscola) si prova a cogliere l’occasione che questo tempo ci dà per pensare. Soprattutto per chiederci come saremo “domani”, passata la pandemia. Ci si chiede se, attraversando un momento epocale come questo, ne usciremo e basta o ne usciremo cambiati. Soprattutto ci si chiede cosa possiamo raccogliere da queste giornate per provocare, magari nel nostro piccolo, un cambiamento in meglio. Nei prossimi giorni verrà quindi proposta una rubrica, “the day after” (il giorno dopo) in cui gli interventi di alcuni amici ci aiuteranno a leggere questi tempi e, seppur nella loro complessità e drammaticità, a raccogliere quei segni per essere autori di cambiamento.
Don Maurizio Manganelli