La fiducia è stata il motore del sistema economico capitalistico degli ultimi due secoli e mezzo: fiducia nel fatto che la somma di tanti interessi individuali, in un sistema di concorrenza, generassero il più alto beneficio collettivo; fiducia nel fatto che il mercato producesse la migliore distribuzione della ricchezza, sulla base del merito di ciascuno; fiducia che i progressi della tecnica, scanditi da quattro rivoluzioni industriali, rendessero la soddisfazione dei bisogni materiali sempre più ampia e meno costosa; fiducia nella capacità dell’umanità di usare la razionalità in tutte le sue scelte.
Questi anni, questi mesi, queste ore, assistono al crollo dell’ottimismo capitalista. La somma degli interessi individuali ha tralasciato di curare la casa comune, generando una crisi ecologica sempre più evidente. Il mercato ha prodotto disuguaglianze stridenti e smantellato ampie fette di protezione sociale.
I progressi tecnici – positivi e innegabili – hanno comunque lasciato quella fetta di umanità che ne ha beneficiato fragile e smarrita di fronte all’impatto di eventi come un black-out, una nevicata in città, un nuovo virus. Infine la razionalità, ritenuta il motore delle scelte di produzione e di consumo di ogni agente economico – dalla grande banca d’affari fino alla massaia al mercato rionale – e baluardo degli equilibri economici: le tante recessioni della storia hanno mostrato che il sistema economico di equilibrio e di razionalità ne ha ben pochi.
Di crisi in crisi, nuove e diverse iniezioni di fiducia (o con l’intervento statale o con la finanza, oggi decisamente più in voga) hanno risollevato l’economia dalla depressione, fino alla caduta successiva.
Ma che accade se invece il motore delle scelte diventa non più la ragione, ma la paura? Lo stiamo sperimentando con il nuovo covid-19: l’epidemia sta paralizzando la circolazione di merci, persone e capitali, persino di idee e visioni del mondo.
Nelle grandi crisi del passato, da quella del ’29 a quella del 2008, la paura fu limitata agli attori del sistema finanziario anche se, ovviamente, gli effetti nefasti si riversarono sull’intesa società mondiale. Oggi la paura colpisce persone, imprese, governi; corre attraverso la rete e i media, detta tagli di personale, deliberazioni d’urgenza, corse notturne all’accaparramento ai supermercati; modifica relazioni e comportamenti: tra le persone, le classi sociali, le generazioni, gli Stati.
Il rischio non è solo quello, oramai concreto, di una nuova e pesantissima, recessione, ma soprattutto che il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo sia ipotecato dalla crescita ancor più accentuata di ostilità, chiusura, sguardo rivolto al presente, mentre il mondo, a tutti i livelli, ha bisogno di cooperazione, apertura e lungimiranza.
Davide Tondani