
I lavori avviati nel 1870, l’apertura nel 1883. Un cantiere straordinariamente difficile diretto da una donna, fatto unico per l’epoca!

Nel 1850 la popolazione di New York superava appena il mezzo milione di abitanti, ma trent’anni dopo era già quasi triplicata: la fine della guerra civile americana (1861-1865)e le conseguenti nuove ondate migratorie dall’Europa del nord (soprattutto dall’Irlanda) furono fattori che favorirono un incremento demografico senza interruzioni per almeno un secolo.
Cento anni dopo, infatti, la popolazione di New York sfiorava gli otto milioni di individui! Fornire ad una città in pieno sviluppo un collegamento viario tra Manhattan e il continente era da tempo avvertita come una necessità irrinunciabile e l’idea di costruire un ponte sopra l’East River che unisse l’isola al quartiere di Brooklyn era stata teorizzata già fin dal 1857 dall’ingegner John Roebling, un immigrato tedesco che in quegli anni aveva già progettato due ponti importanti a Pittsburg e a Cincinnati. Un’esperienza utile, ma la sfida che aveva di fronte a New York era ben più complessa: si trattava di costruire il ponte sospeso più lungo del mondo, con uno sviluppo totale di 1.825 metri e una campata sospesa di mezzo chilometro!
Lo scoppio della guerra civile aveva fatto passare in secondo piano il progetto, ma la pace e il successivo sviluppo portò in breve tempo alla costituzione di una società per la realizzazione dell’opera e Roebling fu messo a capo di un progetto che prevedeva l’utilizzo su vasta scala di acciaio, una novità per opere del genere.
Gli italiani a New York, ancora poche migliaia nel 1870
Padre Roberto Biasotti, missionario scalabriniano e fondatore della Società di San Raffaele a Boston, all’inizio del Novecento scrive che tra il 1850 e il 1870 arrivarono negli Stati Uniti circa ventimila italiani, sbarcati soprattutto nel porto di Boston; come lui stesso sottolinea, un numero davvero esiguo. Infatti l’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti fu un fenomeno limitato almeno fino alla metà dell’Ottocento: poche migliaia di persone tra le quali spiccavano artisti chiamati oltre oceano – come gli scultori carraresi che lavorarono prima al Campidoglio di Washington e poi nelle città della costa orientale – e anche coloro che erano espatriati per motivi politici.
La fine della guerra di secessione (1865) determinò l’avvio di un flusso di emigrazione più consistente, anche se per quasi tutto il resto del XIX secolo la meta dell’emigrazione italiana al di là dell’Atlantico rimase il sudamerica, soprattutto il Brasile dove la fine della schiavitù aveva determinato un’impellente necessità di manodopera bianca a basso costo. Richiesta che venne soddisfatta con l’arrivo di milioni di italiani.
Ancora nel 1870 – anno d’inizio della costruzione del ponte di Brooklyn – il Console italiano a New York stimava che negli Stati Uniti ci fossero appena 55.000 italiani, un quarto di questi nello Stato di New York, impegnati soprattutto nella ristorazione e nel commercio. In quella che si stava avviando a diventare una delle città più importanti del mondo la presenza italiana era concentrata in alcune Little Italies che caratterizzavano i diversi quartieri, ma era rilevante soprattutto nella zona del Greenwich Village di Manhattan dove, nel 1866, era stata fondata la prima parrocchia italiana in città, quella dedicata a Sant’Antonio di Padova.
Fino al 1890 la grande maggioranza degli immigrati negli USA provenivano da Gran Bretagna, Irlanda, Germania e Scandinavia; solo nell’ultimo decennio del XIX secolo si cominciò a registrare l’arrivo in massa di Italiani e di immigrati provenienti dall’Europa centro-orientale.
(p. biss.)
I lavori non erano ancora iniziati quando, nell’estate 1869, l’ingegnere morì per le conseguenze di un banale quanto tragico incidente. Il progetto fu affidato al figlio Whashington che tuttavia, rimasto ben presto paralizzato per le conseguenze di un’embolia, affidò la responsabilità di seguire il cantiere alla moglie Emily che – fatto straordinario per l’epoca – aveva conoscenze avanzate di ingegneria e matematica. La donna dimostrò anche grandi capacità di gestione dei lunghi e difficili rapporti con lavoratori, fornitori, committenti, politici e amministratori.
L’ impalcato del ponte, largo 26 metri, avrebbe ospitato sei corsie: due per i treni della metropolitana e quattro per le carrozze. Alla metà del secolo scorso, con il moltiplicarsi dei ponti e dei tunnel da e per Manhattan, i binari furono smantellati ed altre due corsie vennero destinate al traffico delle auto che da tempo avevano sostituito i mezzi a trazione animale. Al centro del ponte anche lo spazio per il passaggio dei pedoni, oggi affiancato anche da una pista ciclabile.

L’enorme peso della struttura, sospesa a 40 metri sul pelo dell’acqua, è sostenuto da quattro grandi cavi d’acciaio ancorati alle due torri in stile neogotico che si alzano fin quasi a 85 metri e diventate una delle immagini più famose della metropoli. Proprio la loro costruzione costituì una delle sfide più ardue: poggiano, infatti, in profondità sul fondo di questo ramo di mare che si incunea tra Brooklyn e Manhattan: qui, nel punto scelto per la costruzione della torre, ha una profondità di 22 metri!
Per le fondazioni scavate sul fondo del mare vennero usati dei cassoni pneumatici dove lavoravano contemporaneamente fino a 100 uomini. Era una tecnica già ben nota in Europa, ma i lavori furono estremamente complessi e pericolosi, soprattutto per il rischio di embolie: alcuni operai morirono e altri rimasero invalidi per tutta la vita.
Nel 1872 le fondazioni furono ultimate e si procedette alla costruzione delle torri; tre anni dopo iniziarono le opere di ancoraggio sulle due rive, con la demolizione di magazzini e baracche, fu poi la volta delle travi dell’impalcato.
Il 24 maggio 1883 il ponte venne finalmente inaugurato: la prima a percorrerlo fu proprio Emily Warren Roebling.
Paolo Bissoli