Ariosto, esploratore lunare ne “L’ Orlando furioso”

L’ironica saggezza del poeta emiliano: il viaggio di Astolfo che con l’ippogrifo arriva sulla Luna

3213AstolfoPrima della ”magnifica desolazione” provata da Aldrin che l’ha toccata davvero, la Luna ha nutrito sogni, fantasie, profonde riflessioni di una miriade di poeti e artisti: è l’amore intimo di Leopardi, è il luogo “altro” dove Ariosto immagina che vadano a finire le cose che l’uomo perde sulla Terra per colpa propria o del tempo o della fortuna, tranne la pazzia che rimane sempre qui tra noi.
Il poeta con la leggerezza di una farfalla si serve di oggetti fatati, di cavalli alati non per evadere dalla vita concreta ma per riflettere con alta tensione morale e con razionalità, fedele al suo grande autore, l’Orazio del ridendo castigat mores; divertendo giudica i comportamenti umani a cominciare da se stesso. Nell’armonia cosmica del poema L’ Orlando furioso un canto ci dice di Astolfo che con l’ippogrifo arriva sulla Luna con la missione di riportare l’ordine razionale nella testa del cugino Orlando che per amor venne in furore e matto. Guidato da Giovanni Evangelista, giunge in un vallone dove sono oggetti allegorici, immagine e insieme satira degli sprechi e delle sciocchezze umane.
Vanno persi regni, ricchezze, fama, preghiere e voti a Dio da parte dei peccatori, le lacrime e i sospiri degli amanti, l’inutil tempo che si perde a giuoco / e l’ozio lungo d’uomini ignoranti, i tanti vani disegni e desideri. Astolfo vede un mucchio di ami d’oro e d’argento simbolo dei doni fatti agli avidi politici e ai patroni sperando favori, ghirlande con nascosti lacci indicano le adulazioni, cicale scoppiate sono immagine degli elogi ipocriti, mantici sono i favori labili come fumo concessi dai potenti, mucchi di ruderi le città e i castelli andati in rovina per trattati violati e congiure. In questa fiera delle vanità e colpe umane di ispirazione laica serpi con faccia di donzella sono le azioni di falsari e ladri, bottiglie rotte il servilismo dei cortigiani, una gran massa di minestre rovesciate sono le elemosine ordinate in punto di morte e che gli eredi non fanno.
Un monte di fiori diventato puzzolente è il potere temporale della chiesa. Trappole per uccelli vischiose sono le bellezze delle donne. Astolfo arriva ad un mucchio altissimo di ampolle contenenti il senno; crediamo di averlo tutto e sempre con noi, invece è molto facile perderlo, è come un liquor suttile e molle da tenere ben chiuso perché non esali.
Le ampolle sono di grandezza proporzionale al senno perso, hanno l’etichetta, quella di Orlando è la più grossa, ma Astolfo si stupisce che c’è anche la sua e quella di molti che si credevano non averne perso per niente.
Con autoironia Ariosto dice che non sono assennati neppure i sofisti e i poeti; al di là del tono scherzoso e fantastico si scorge “un ritratto pensoso ed amaro della società del tempo, della condizione e della funzione dei poeti”, della sua sofferta esperienza personale dei signori al potere, incapaci di riconoscere i meriti e di apprezzare la cultura e la vera poesia; ottusi e avidi cedono alle lusinghe dei mediocri e degli adulatori (per averne il consenso elettorale, aggiungerebbe oggi l’Ariosto).

Maria Luisa Simoncelli