Stefano Lucchini, nato a Roma nel 1962, laureato in Economia e Finanza alla Luiss della nostra capitale, esperto in comunicazione aziendale, dopo aver operato nelle aziende più importanti del nostro Paese è attualmente direttore centrale “International and Regulatory Affairs” di Intesa San Paolo. Autore del libro “A Caporetto abbiamo vinto” (edizioni Rizzoli), ricostruisce origini, conseguenze, memorie della disfatta in una nuova prospettiva.
È noto, e molto è stato detto e scritto su quella funesta pagina della nostra storia, che il 24 ottobre 1917 le truppe austro-tedesche sfondarono a Caporetto occupando, in brevissimo tempo, il Friuli e parte del Veneto. Da allora la parola Caporetto è sinonimo di rotta catastrofica ed è legata a Luigi Cadorna, il comandante supremo dell’esercito italiano. Nel libro va sottolineato il sapiente montaggio di testimonianze dirette di soldati, politici, giornalisti, storici e una ricca messe di fotografie, cartoline e manifesti dell’epoca.
E non solo poiché, con efficaci note esplicative, Lucchini ci introduce ai brani più intensi per meglio capire quale immane tragedia fu la Prima Guerra mondiale. La maggior parte dei soldati erano contadini o comunque provenienti da ambiti rurali, pertanto arrivano al fronte con una visione molto confusa del conflitto. Partono con la nostalgia per la propria casa e gli affetti più cari con nel cuore un’unica speranza: quella di un futuro migliore, a partire dalla libertà.
Ma intanto la dura vera realtà è la vita in trincea, la guerra di posizione e di logoramento con davanti agli occhi fiumi di sangue e, nell’anima, l’ansia crescente, prima di ogni attacco, per il terrore della morte.
“Se a Caporetto non abbiamo vinto, grazie a Caporetto avremmo comunque posto le basi per la vittoria dell’autunno 1918” dice Lucchini. E, paradossalmente, in questo travisamento provvidenzialistico della realtà è racchiusa una punta di verità.
Occorreva una tale disfatta per liberare l’Italia dalla dittatura di Cadorna, arrivare quindi a una riorganizzazione sotto la guida del generale Diaz, risparmiando ai soldati inutili, mortali assalti. Una tesi che lo scrittore fa supportare da dirette testimonianze dei contemporanei come d’Annunzio e Palazzeschi. Per quanto concerne Cadorna su di lui sono stati versati fiumi d’inchiostro. La sua figura non ne esce mai bene. Specialmente per il vergognoso “scaricabarile” di cui fu protagonista, ossia quando diede la colpa della disfatta a una presunta vigliaccheria dei soldati.
A un secolo di distanza urge formulare giudizi che rendano onore alla storia realmente vissuta e combattuta da quell’esercito di giovani che nemmeno sapevano perché avevano imbracciato i fucili.
Nei Comuni italiani ci sono strade e piazze intitolate allo “stratega dell’attacco frontale”, Lucchini, senza titubanza, chiosa “Questo libro aggiunge la sua voce alle tante che chiedono di togliere il nome di Cadorna dalle vie e dalle piazze d’Italia…”. Il titolo, ovviamente, è provocatorio e lo stile letterario chiaro, liscio, senza fronzoli. A vantaggio di una lettura che si fa apprezzare.
Ivana Fornesi