Il 9 ottobre di 55 anni fa il disastro del Vajont

38VajontUna tragedia annunciata dalla quale poco abbiamo imparato: nessuno avrebbe potuto immaginare che, alle ore 22,43 del 9 ottobre 1963, nel bel mezzo di una sera come tante altre, quella che ancora oggi, a distanza di 55 anni, è ricordata come la tragedia del Vajont avrebbe spazzato via il presente e il futuro di una ridente vallata.
La frana caduta dal monte Toc nel bacino artificiale creato sul torrente Vajont generò un’ondata dalle dimensioni mostruose che coinvolse e distrusse dapprima Erto e Cassio, geograficamente più vicini al luogo del disastro e poi, con la forza distruttrice pari a due bombe di Hiroshima, in pochi minuti raggiunse e spazzò via Longarone e altri abitati. 1917 furono i morti, tante storie di vite diverse unite in una agghiacciante fine; a 900 milioni di lire ammontarono i danni.
Le cause della tragedia che coinvolse la diga, costruita tra il 1957 e il 1960 dalla Società Adriatica di Elettricità e poi passata all’Enel poco prima del disastro, furono ricondotte ad errori compiuti dai tecnici nella valutazione della pericolosità del versante del bacino dove poi avvenne il cedimento.
Una serie di coperture dolose che interessarono un po’ tutti i principali protagonisti interessati alla messa in funzione dell’opera. Messa da parte ogni considerazione, la realtà fu che la mattina dopo tutta la vallata del Piave era un cimitero a cielo aperto, punteggiato dai soccorritori appartenenti a corpi specializzati e da volontari giunti da ogni parte del Paese e da diverse associazioni.
Si portava aiuto ai sopravvissuti che, con il loro sguardo terrorizzato, facevano capire la portata del dolore che li avrebbe segnati per sempre; nel contempo, si allineavano i cadaveri, tra di essi molti bambini. Le tragedie dovrebbero spingere ad affrontare meglio e con cruda immediatezza ciò che partiti e istituzioni traducono in dibattiti, spesso fini a se stessi, con tempi lunghi che mai rispondono alle esigenze della società. E così di tragedie si continua a morire, rivelando il destino di un’Italia che sulla sicurezza promette tanto ma poi continua a tirare per le lunghe.
Il 20 ottobre del 2003, l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e il ministro dei Beni Culturali Giuliano Urbani firmarono un decreto per il quale il cimitero di Longarone fu dichiarato monumento nazionale. In precedenza, il 9 ottobre dello stesso anno, lo stesso Ciampi, recatosi sul posto della tragedia, ebbe a dire: “Sono qui in pellegrinaggio. Questo luogo è un sacrario ed il sacrario è memoria”. Le parole incise sulla stele che ricorda le tante vittime innocenti recitano: “Prima il fragore dell’onda. Poi il silenzio della morte. Mai l’oblio della memoria”.
A distanza di 55 anni, il presidente Mattarella ha ricordato “l’immane dolore dei parenti e dei sopravvissuti, la sconvolgente devastazione del territorio” e che “così tante morti e distruzioni potevano e dovevano essere evitate”, sollecitando “un’assunzione di responsabilità” a tutti i livelli “affinché gli standard di sicurezza siano sempre garantiti in ogni opera pubblica al massimo livello e l’equilibrio ambientale venga ovunque assicurato”.

(i.f.)