L’ Estate di Leonardo Colombati

34copertina_Estate_ColombatiEstate è l’ultimo libro di Leonardo Colombati. Qualche mese fa avevo affrontato “1960” (Mondadori 2014), un corposo romanzo tra spy-story e melodramma e visto che stava per uscire una nuova opera ho deciso di prepararmi esaurendo la lettura delle sue fatiche precedenti che giacevano da tempo nella mia libreria. Prima “Perceber” (Sironi 2005) tomo di oltre 500 pagine con un’appendice immensa che mi ha travolto ricordando il grande Sterne, a seguire “Rio” ( Rizzoli 2007) una sorta di romanzo di formazione condotto con abilità, e per finire “Il re” (Mondadori 2009) incentrato sugli ultimi giorni di vita di Giovanni (Gianni) Agnelli. Ha scritto anche di musica ma quello è fuori della mia portata.
Poi è uscito “Estate” (Mondadori pagg. 259, euro 19) e sono qui per rendervene conto: Jacopo D’Alverno è un quarantenne indeciso e vagamente tanto irrisolto quanto pigro che gestisce la proprietà di un albergo situato sulle coste del Tirreno ancora alle prese con progetti futuri alquanto ambigui. Purtroppo un incendio distrugge la proprietà provocando uno sconquasso terrificante nella sua vita: la moglie decide di abbandonarlo portando con sé la figlia amatissima, l’albergo finisce nelle mani di uno zio rapace e senza pietà e Jacopo si trova letteralmente travolto senza possibilità di pur auspicati rimedi. L’incontro casuale di un amore dell’adolescenza sembra potergli fornire un minimo scampo. La ragazza, Astrid, giornalista lo convince a seguirla in Norvegia per il processo ad Anders Breivik (il fanatico che nel 2011 fece strage di 77 ragazzi) e nello stesso frangente assistere ad un concerto di Sprigsteen (di cui Colombati è affezionato esperto ).
Uno sguardo incrociato con l’assassino, il concerto, l’occasione di sognare un ritorno sentimentale con la ragazza non cambiano di molto gli atteggiamenti verso la vita di Jacopo sempre attraversato dalla coscienza della propria inadeguatezza e dalla mancanza del coraggio necessario per provocare una qualche svolta. Il ritorno in Italia non fornisce nè scampo nè possibili soluzioni. Allora pian piano ci accorgiamo che intanto per Jacopo la vita è stata sopratutto un confronto continuo con le donne, da Astrid alla moglie, alla figlia, alla vecchia madre arroccata in una sorta di sdegnoso senso di superiorità fino alla sorella Alex ed alla cuginetta Francesca perduta in una tragedia della sua gioventù.
Pur avendole amate non riesce a collegarle alla sua formazione ed al risultato di questa, se mai vi è stata. Malgrado i lampi che ogni tanto accendono le sue riflessioni la costante si presenta sopratutto come la dimessa tonalità con la quale i fallimenti vengono quasi automaticamente accettati, e la percezione svapora nel tedio accidioso della irresoluzione.
La descrizione di una vita marginale qualsiasi o l’affermazione delle possibili radici di uno sconforto non tanto immotivato quanto non superato per la noia che impedisce qualsivoglia impegno. Jacopo ha il merito di conoscere la propria inadeguatezza ma la colpa di non cogliere mai i segnali che pure si presentano per un minimo riscatto. Forse però tutto questo potrebbe avere il significato del naturale adattamento per evitare il totale annichilimento, quindi quasi una forma di resistenza. Avvolgente e disincantato sembra costituire ( sopratutto riandando con la memoria ai romanzi precedenti) una versione contemporanea di un eroe del nostro tempo. Micidiale.

Ariodante Roberto Petacco