Con don Tonino Bello per una Chiesa “contempl-attiva”

Il viaggio pastorale di Papa Francesco in Puglia: ad Alessano e Molfetta

17Papa_AlessanoDa Roma ad Alessano: un vescovo sosta in preghiera – dieci minuti in silenzio da solo, a fianco solo il vescovo oggi “padrone di casa” – sulla tomba di un altro vescovo don Tonino Bello, e lo chiama come lo hanno sempre chiamato tutti: “Don Tonino”. E azzera le distanze del tempo e della storia dandogli del “tu”, nel suo paese natale come a Molfetta, diocesi di cui è stato la guida pastorale per oltre un decennio.
È l’istantanea già consegnata alla storia del 21° viaggio pastorale di Papa Francesco in Italia, dedicato alla memoria del prete salentino oggi servo di Dio, di cui è in corso la causa di beatificazione, a 25 anni dalla morte. Francesco depone un mazzo di fiori bianchi e gialli sulla semplice lapide di pietra, e il pronipote di don Tonino, che si chiama come lui, poco dopo gli dà il benvenuto a nome dei 20mila fedeli che lo hanno accompagnato lungo il viale che porta al cimitero: “Grazie, Papa Francesco, per essere venuto qui”.

Don Tonino non andava dietro ai potenti di turno, non si adagiava in una vita comoda, non teorizzava la vicinanza ai poveri ma stava loro vicino. Il Papa ha deposto un mazzo di fiori bianchi e gialli sulla semplice lapide di pietra.

Ad Alessano, come nell’omelia della messa a Molfetta, davanti a 40mila persone alla cattedrale che si affaccia sul porto, le consonanze tra la Chiesa del grembiule di don Tonino e quella in uscita di Francesco non si contano. Nei due discorsi di questa visita pastorale, le 19 citazioni sono tutte per don Tonino, eccetto una dedicata a San Giovanni Paolo II.
17Papa_MolfettaQuasi che il Papa venuto “dalla fine del mondo” abbia voluto prestare la sua voce al vescovo della “terra-finestra” che dal Sud dell’Italia si spalanca ai tanti Sud del mondo, “dove i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno”, la fotografia profetica del prete salentino.
“Capire i poveri era per lui la vera ricchezza, era anche capire la sua mamma”, esordisce Francesco al cimitero di Alessano: don Tonino non andava dietro ai potenti di turno, non si adagiava in una vita comoda, non teorizzava la vicinanza ai poveri ma stava loro vicino. “Non lo disturbavano le richieste, lo feriva l’indifferenza. Non temeva la mancanza di denaro, ma si preoccupava per l’incertezza del lavoro. Non perdeva occasione per affermare che al primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua avidità. Non stava con le mani in mano: agiva localmente per seminare pace globalmente”, perché “se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra”.
17Papa_Alessano1E la pace “si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, dove artigianalmente si plasma la comunione”. “Don Tonino ci parla ancora”, assicura il vescovo di Roma ricordando la sua “evocazione” di prete innamorato del Signore, che voleva “una Chiesa non mondana, ma per il mondo”, al servizio del mondo, affetta da “una salutare allergia verso i titoli e gli onori”, capace di “provare vergogna” per gli immobilismi e le giustificazioni.
17Papa_Alessano2Una Chiesa, quella di don Tonino, che accorcia le distanze e offre una mano tesa: “Amiamo il mondo. Vogliamogli bene. Prendiamolo sotto braccio. Usiamogli misericordia. Non opponiamogli sempre di fronte i rigori della legge se non li abbiamo temperati prima con dosi di tenerezza”.
“Caro don Tonino”, dice il Papa rivolgendosi a questo “credente con i piedi per terra e gli occhi al cielo”, che ha coniato un neologismo – “contempl-attivi” – per collegare cielo e terra, preghiera ed azione ed inseguire il sogno di “una Chiesa contempl-attiva, innamorata di Dio e appassionata dell’uomo”. “In piedi costruttori di pace” è la scritta di fiori gialli su erba verde al centro del sagrato, sul quale troneggia una gigantografia che riproduce la croce pastorale del vescovo. È il motto di don Tonino, che Francesco riprende sottolineando che il cristiano, come lui, deve “rialzarsi sempre, guardare in alto, perché l’apostolo di Gesù non può vivacchiare di piccole soddisfazioni”.
“Vivere per” è il marchio di fabbrica dei credenti, e il Papa invita la diocesi che per la prima volta riceve la visita di un successore di Pietro ad esporre davanti ad ogni chiesa, come chiedeva il suo vescovo, l’avviso: “Dopo la messa non si vive più per se stessi, ma per gli altri”.